
Multiculturalità al lavoro: una sfida per l’equità, un’opportunità per le imprese
Mancato riconoscimento delle qualifiche, barriere linguistiche, percorsi di recruiting poco inclusivi, esperienze discriminatorie. Sono alcuni degli ostacoli che rendono spesso inaccessibile il mondo del lavoro per le minoranze etnico-culturali. Eppure, abbattere le difficoltà strutturali che ostacolano l’integrazione di questi talenti nei contesti aziendali potrebbe rappresentare un vantaggio strategico. Come emerge dallo studio McKinsey & Company (Ethnocultural minorities in Europe: A potential triple win, 2024), infatti, una maggiore inclusione delle minoranze etnoculturali potrebbe colmare il talent shortage e stimolare la competitività aziendale, aumentando l’emancipazione economica di questi gruppi e generando benefici per l’economia e la società in generale.
Un contributo prezioso in questa direzione arriva dal lavoro promosso da Valore D con il progetto “Multiculturalità al lavoro: storie e dati dal mondo aziendale”. Una ricerca corale e multidisciplinare che ha coinvolto aziende, associazioni, esperti ed esperte provenienti da diversi ambiti disciplinari per esplorare come la multiculturalità si manifesti nei luoghi di lavoro e quali sfide, ma anche opportunità, porti con sé.
Un grafico tratto dallo studio “Ethnocultural minorities in Europe: A potential triple win” (2024) di McKinsey & Company
«La multiculturalità nel mondo del lavoro rappresenta un valore enorme per l’innovazione e la competitività delle aziende – dichiara Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D. «Le imprese che sapranno abbracciare e integrare la multiculturalità disporranno di una risorsa strategica e avranno un impatto positivo in una crescita sociale ed economica, equa e sostenibile per il nostro Paese».
Inclusione lavorativa: i numeri che parlano
Secondo l’UNHCR, nel 2024 il numero di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni ha superato i 120 milioni a livello globale. Un’umanità in movimento, spesso in fuga, alla ricerca di protezione, ma anche di dignità. Tra i diritti fondamentali che un rifugiato dovrebbe poter esercitare c’è il diritto al lavoro. Non solo perché rappresenta una forma di autosufficienza economica, ma anche perché è lo strumento con cui si ricostruisce identità, si ritrova una prospettiva, si entra in relazione con il territorio.
In Italia, in particolare, gli stranieri regolarmente residenti sono 5 milioni e 422mila al primo gennaio 2025, il 9,2% della popolazione totale, con un aumento del 3.2% sul 2024 (ISTAT). I lavoratori stranieri nel nostro Paese sono quasi 2,4 milioni, pari a oltre il 10% del totale della forza lavoro attiva nel Paese (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), ma solo l’1,1% ricopre posizioni dirigenziali, rispetto al 7% degli italiani. I percorsi verso l’inclusione lavorativa di queste persone, infatti, restano accidentati. Burocrazia, barriere linguistiche, mancanza di reti e competenze certificate, discriminazioni dirette o indirette rallentano o impediscono l’accesso al mercato del lavoro, generando marginalità e dipendenza.
Gli ostacoli da superare
Le difficoltà incontrate sul mondo del lavoro spaziano dal recruiting alla retention. Secondo la già citata indagine di McKinsey, le persone con un background multiculturale hanno il doppio delle probabilità, rispetto ai loro coetanei non appartenenti alla minoranza, di incontrare ostacoli nell’ottenere eque opportunità di lavoro, mentre il 54% sostiene di aver perso almeno una chance di avanzamento di carriera, come un aumento o una promozione.
Eppure, come conferma lo studio, le aziende che investono in inclusione etnico-culturale hanno il 39% di probabilità in più di superare la redditività media del proprio settore. Questo perché ambienti di lavoro multiculturali favoriscono la creatività, il problem solving e l’apertura ai mercati globali. Inoltre, secondo un recente report di Mediobanca, i flussi migratori, se ben gestiti, possono contribuire fino a due punti percentuali di Pil. Non basta, quindi, attrarre nuovi talenti, ma è importante riconoscere e valorizzare quelli già presenti, superando pregiudizi e barriere culturali.
La roadmap per la multiculturalità
Le imprese sono già spazi multiculturali, anche se faticano a riconoscere, misurare e valorizzare questa diversità. Dalle interviste di Valore D con lavoratori di background migratorio e dai focus group con responsabili HR e DEI, in particolare, è emerso il bisogno di politiche aziendali capaci di rispondere a profili eterogenei, con interventi su sei macroaree: cultura e valori aziendali; formazione e sensibilizzazione; processi e policy; misurazione, kpi e obiettivi; supporto pratico; collaborazione e partnership con reti di supporto territoriali.
Alcune aziende stanno già lavorando su questo tema seguendo il programma “Welcome. Working for Refugee Integration” dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), frutto della collaborazione con Fondazione Adecco, il Ministero del Lavoro, il Global Compact Italia e Confindustria, per promuovere l’inclusione lavorativa come parte integrante della responsabilità sociale d’impresa.
Tra queste, Ikea, che promuove un ambiente di lavoro rispettoso delle diverse tradizioni religiose, anche adottando linee guida che permettono l’uso dell’hijab nei punti vendita e negli uffici. O ancora, Randstad, che con il progetto “Without Borders” ha favorito l’integrazione occupazionale di oltre 5600 migranti e rifugiati con attività gratuite di orientamento, coaching e formazione, ricevendo per questo il premio “We Welcome” da parte di UNHCR. Ma anche studi privati, come DLA Piper che ha siglato una partnership con UNHCR per fornire un supporto pro bono e contribuire finanziariamente ai programmi globali dell’agenzia. Solo nel 2024, infatti, UNHCR ha erogato aiuti economici salvavita a oltre 6 milioni di persone in più di 100 Paesi.
Anche la recente iniziativa Union of Skills della Commissione Europea sottolinea la necessità di costruire ecosistemi lavorativi inclusivi e multilingue, in cui la valorizzazione delle competenze migranti sia parte integrante delle strategie per la transizione digitale, verde e demografica. Una spinta a ripensare il lavoro come spazio di incontro e riconoscimento a cui guarda anche la Giornata Mondiale del Rifugiato che si celebra oggi, il 20 giugno, ricordando quanto la multiculturalità possa essere un fattore strategico di innovazione, sostenibilità e competitività per le imprese e per la nostra società.