
HR ghosting: il silenzio che fa più danni di un rifiuto
“Le faremo sapere.”
Una frase breve, di circostanza. Spesso pronunciata a fine colloquio, altre volte scritta con formula educata in una mail standard. Eppure, in troppi casi, quella promessa resta sospesa. Nessun aggiornamento, anche in seguito ai famosi follow-up delle candidate/i a distanza di giorni o settimane. Solo silenzio.
Il fenomeno è noto come HR ghosting, un termine preso in prestito dal lessico delle relazioni personali che ha trovato spazio, in modo sempre più preoccupante, anche nel linguaggio del lavoro. Oggi è sempre più frequente che un’azienda interrompa il contatto, anche dopo più fasi del processo di selezione.
Un comportamento che, a forza di ripetersi, è diventato parte del paesaggio. Ma normalizzarlo è un errore.
Quando quel percorso si interrompe senza alcuna spiegazione, il messaggio che passa è più forte di un rifiuto esplicito. È un “non vali nemmeno una risposta”.
I numeri che parlano e fanno riflettere
Secondo una ricerca di Glickon, meno del 20% dei candidati italiani riceve una risposta dopo aver inviato un CV o sostenuto un colloquio.
Il dato è ancora più evidente tra i giovani: il 43% della Gen Z e il 46% dei Millennial hanno vissuto esperienze di totale silenzio da parte delle aziende.
In Europa il quadro non cambia molto:
- In Francia, l’80% dei candidati non riceve mai feedback.
- In Spagna, il 70% viene ghostato dopo un colloquio.
- In Germania, il 43% dei candidati ha dichiarato di essere stato ignorato dai recruiter anche dopo aver iniziato il processo di selezione, mentre il 74% dei candidati appartenenti alla Gen Z ha riferito di essere stato ghostato durante il percorso di candidatura.
- Nel Regno Unito, il 30% dei candidati ha dichiarato di aver partecipato ad almeno un colloquio senza ricevere successivamente un riscontro dall’azienda.
Non si tratta solo di un dettaglio tecnico, ma di un’esperienza che può generare frustrazione e insicurezza nelle persone che investono tempo ed energie per mandare una candidatura o partecipare ai colloqui.
Il ghosting non è solo aziendale
Anche i candidati non sono esenti da comportamenti simili. In Italia, un sondaggio Indeed ha rilevato che il 28% dei candidati ha ghostato un’azienda nel corso di un processo di selezione. E non parliamo solo di mancati follow-up: nel Regno Unito, il 93% della Gen Z ha ammesso di non essersi presentato a un colloquio almeno una volta, e l’87% di aver accettato un’offerta per poi non presentarsi al primo giorno di lavoro.
Un circolo vizioso che mina credibilità e responsabilità
L’effetto è un circolo vizioso: meno fiducia da parte dei candidati, meno responsabilità da parte delle aziende. Ma più che una colpa individuale, sembra una disfunzione sistemica del mercato del lavoro contemporaneo, dove velocità e automatismi spesso prevalgono sulla cura delle relazioni e delle persone.
Secondo una ricerca condotta da Greenhouse, il 52% dei candidati statunitensi ha riferito di essere stato ghostato durante il processo di selezione nel 2024. Questo comportamento non solo danneggia l’esperienza del candidato, ma erode anche la fiducia nel processo di assunzione e nella reputazione dell’azienda stessa .
Dall’HR alle persone: cultura e empatia
HR sta per Human Resources, ma in questi contesti dovremmo smettere di parlare di risorse e iniziare a pensare che dall’altra parte del telefono, dello schermo o del tavolo di lavoro ci sono delle persone.
Come sottolinea un articolo di HR Grapevine, ignorare le candidature non è solo una questione di cattive maniere, ma rappresenta una strategia fallimentare che può compromettere la reputazione dell’azienda e scoraggiare i talenti migliori dall’applicare .
Basti pensare che nel 2024 il 66% dei candidati ha dichiarato di aver accettato un’offerta di lavoro grazie a un’esperienza di selezione positiva. Al contrario, un processo poco curato – con scarsa comunicazione o aspettative poco chiare – ha spinto il 26% dei candidati a rifiutare l’offerta. Questo dimostra quanto l’esperienza conti: non è solo una questione di CV o colloqui, ma di relazione, chiarezza e rispetto fin dal primo contatto.
Ghosting non significa solo “non rispondere”
Dietro ogni mancata risposta c’è un’opportunità persa di costruire reputazione e relazioni. Una selezione è un processo a doppio senso, e la mancanza di comunicazione impatta negativamente su entrambi i lati: chi cerca lavoro e chi lo offre.
A volte le cause sono strutturali: flussi di candidature eccessivi, mancanza di strumenti adeguati, carenza di tempo o risorse nei team HR. Altre volte è solo una questione di priorità e cultura – aziendale e personale. Ma è possibile cambiare e si deve cambiare.
Cosa possono fare aziende e candidati?
Soluzioni per le aziende
- Stop ai ghost jobs
Se non c’è un’effettiva intenzione di assumere, è bene evitare di generare false aspettative. Pubblicare decine di annunci su LinkedIn solo per rafforzare la visibilità dell’azienda o per posizioni già destinate a risorse interne rischia di compromettere e danneggiare la credibilità del vostro brand. - Diminuire i colloqui-fotocopia
Evitare pipeline troppo lunghe con passaggi e numerosi colloqui ridondanti. Meno fasi significano più cura e più tempo per dare risposte. E ricordate sempre di comunicare una deadline alle candidate e ai candidati entro cui riceveranno un riscontro: gliene dovete almeno uno. - Coltivare empatia, cura e attenzione per il processo umano insieme all’IA
Ok all’intelligenza artificiale per ottimizzare i tempi, ma bisogna imparare ad usarla. È tempo di superare gli ATS – i sistemi obsoleti di tracciamento delle candidature (Applicant Tracking System) – che si limitano ad automatizzare la lettura dei CV basandosi su un semplice matching di parole chiave. Non si può valutare una candidatura solo sulla base della somiglianza tra un curriculum e una job description. Serve uno sguardo più ampio, più profondo, più umano.
Gli ATS e gli strumenti AI con capacità di matching – semantico o letterale – non devono sostituire chi lavora nelle risorse umane, ma lavorare al loro fianco. Per fare buone selezioni servono tempo, attenzione, e la volontà di leggere davvero le application che arrivano. Solo così si possono distinguere i profili che meritano di essere considerati da quelli che, con motivazione, vanno esclusi.
E no, non dimentichiamoci che ci sono delle persone dietro ogni candidatura. - Monitorare la candidate experience
Introdurre sondaggi post-colloquio per capire dove migliorare e come l’azienda viene percepita all’esterno in termini di esperienza di selezione è una buona pratica, ma provate ad alzare la cornetta del telefono per chiedere feedback e scoprirete un mondo. - Automatizzare i feedback di rifiuto alla ricezione di un CV
Ricevete troppi CV?
Bene, esistono tool che con pochi clic mandano un “Grazie per averci inviato la tua application. Abbiamo ricevuto troppi CV” e “ci dispiace ma al momento abbiamo dovuto chiudere questa fase di selezione e non possiamo accettare altre candidature”.
Non inviare neanche una email, con l’IA disponibile ovunque, è una scelta. E una scelta sbagliata.
Soluzioni per i candidati
- Essere selettivi nella candidatura
Inviare decine di CV indistintamente non porta risultati. Meglio puntare su candidature ragionate e coerenti con le proprie competenze e obiettivi: qualità più che quantità. Altrimenti farete parte del sistema dei “troppi CV ricevuti” che intasano la pipeline HR. - Rispondere anche per rifiutare
Dire “no” a un’offerta o a una convocazione per un colloquio è segno di rispetto. E può chiudere un processo lasciando una buona impressione. - Comunicare lo stato del proprio percorso
Se siete in trattativa con altre aziende, fatelo presente. Questo permette di impostare un dialogo trasparente, anche su tempi, aspettative e RAL. - Dare feedback costruttivo
Se un processo vi è sembrato mal gestito, potete dirlo in modo professionale. È anche così che si contribuisce a cambiare la cultura del recruiting. - Valutare il comportamento dell’azienda
Un’azienda che non risponde, o lo fa male, comunica già molto. Se vi trattano con superficialità ora, probabilmente lo faranno anche dopo l’assunzione.
Ricordate che anche l’assenza è una risposta.
Conclusione
Il ghosting nei processi di selezione non è solo una cattiva abitudine: è il segnale che qualcosa si è spezzato nei rapporti di lavoro. È il riflesso di un sistema che ha smarrito la cura per l’interazione umana, sacrificandola in nome dell’efficienza, dell’automazione o – peggio ancora – dell’indifferenza.
Ma ogni processo di selezione è, prima di tutto, un incontro tra persone. E quando manca il rispetto, nessuna tecnologia può colmare quel vuoto.
Migliorare è sempre possibile. Ma servono scelte consapevoli, strumenti adeguati e la volontà di trattarsi con la dignità che ogni relazione professionale dovrebbe garantire.
Perché alla fine, tra un silenzio e un “no” detto con chiarezza, la differenza non è solo nella risposta. È nel rispetto che si dimostra.