Intelligenza artificiale, un terzo dei professionisti italiani si sente in ritardo. La ricerca di Linkedin

L’IA non è più né una chimera né uno spauracchio. È ormai parte integrante della realtà quotidiana di milioni di professionisti, anche in Italia. Tuttavia, se da un lato cresce l’ottimismo – con più della metà (54%) dei lavoratori che crede che l’IA migliorerà la gestione quotidiana dei propri compiti – dall’altro resta forte la sensazione di essere in ritardo. Una vera e propria FOMO (Fear Of Missing Out) che riguarda oltre un terzo dei professionisti italiani (34%), che dichiara di sentirsi sopraffatto dalla rapidità con cui si è chiamati a “capire l’IA”. A delineare questo scenario èuna nuova ricerca globale commissionata da Linkedin, dal titolo “Sentiment dei Professionisti a Livello Globale” e condotta da Censuswide, su un campione di 19.268 professionisti in diversi Paesi del mondo.

Quasi la metà dei lavoratori italiani (47%) ha la percezione di non sfruttare appieno le potenzialità dell’IA nel proprio lavoro. Un dato che sale significativamente tra i più giovani e che riflette una tendenza trasversale: l’incertezza su come l’IA potrebbe cambiare il proprio ruolo professionale nell’immediato futuro (3-5 anni), con un 35% che si dichiara impreparato a gestire un’eventuale transizione.

«Nel 2024 abbiamo raccontato un mondo del lavoro in trasformazione; oggi, nel 2025, siamo nel pieno di quel cambiamento. L’IA non è più una novità da esplorare, ma una realtà da integrare – spiega Marcello Albergoni, Country Manager LinkedIn Italia –. Solo un terzo dei professionisti (35%) si sente sicuro sulle competenze da sviluppare, eppure molti investono personalmente nella propria crescita. Questo dato rivela una grande opportunità per le aziende: promuovere una cultura di formazione continua, supportando i dipendenti nella trasformazione digitale e offrendo strumenti per creare percorsi personalizzati e strutturati. È proprio facendo leva su questo approccio positivo al cambiamento che i leader devono fare la differenza: fornendo formazione, strumenti chiari e, soprattutto, creando un clima di fiducia e collaborazione intergenerazionale».

Gen Z in prima linea, ma più esposta

Dall’analisi generazionale emergono dati particolarmente significativi. Tra i 18-28enni, il 61% si dice ottimista rispetto all’impatto positivo dell’IA sul lavoro quotidiano, ma allo stesso tempo il 40% dichiara di non sapere quali competenze IA siano necessarie per restare competitivi nel mondo del lavoro. Questo paradosso – fiducia ma anche smarrimento – caratterizza una “Generation AI” entusiasta ma bisognosa di una guida. I dati ci dicono che, in generale, i professionisti faticano a tenere il passo: il 44% vive l’apprendimento dell’IA come un secondo lavoro, un dato che tocca il 58% tra i giovanissimi (18-24 anni).

Il fattore umano resta fondamentale

In un contesto sempre più automatizzato, i lavoratori ribadiscono il valore del fattore umano: per il 37% nulla può sostituire la profondità del dialogo e del confronto tra colleghi, mentre il 33% sottolinea che crescita e successo professionale dipendono anche e in gran parte da empatia e intelligenza emotiva.

Nonostante la crescente adozione dell’IA, il 74% degli intervistati ritiene che il giudizio delle persone e la loro capacità di intuizione, rafforzata dal confronto con colleghi e pari, non possano essere eguagliate dall’intelligenza artificiale. In effetti, il 57% afferma di sentirsi più sicuro nelle decisioni quando può contare sul supporto della propria rete professionale.

Perplessità sull’uso dell’IA per i processi decisionali

L’utilizzo dell’IA a supporto dei processi decisionali suscita perplessità tra i professionisti intervistati. Più della metà di loro (55%) sostiene che l’IA sia utile per scrivere o aiutare a redigere contenuti, ma che non rappresenti ancora uno strumento davvero adeguato quando si tratta di prendere decisioni. Non solo, in molti (40%) esprimono preoccupazioni di ordine etico quando l’IA viene utilizzata per questo tipo di compito. Il dato risulta più marcato tra i più giovani, con il 44% degli under 25 che dichiarano di nutrire questo genere di perplessità.

Sempre secondo l’indagine Linkedin, l’IA sta anche modificando la dinamica tra colleghi: il 17% afferma di aver rivolto una domanda a un tool IA che avrebbe normalmente posto a un collega o al manager, e il 24% segnala che l’IA ha effettivamente liberato tempo utile per la socialità e il confronto con i colleghi. Uno scenario in chiaroscuro, da cui emerge però che, oltre alla formazione tecnica, le aziende dovranno costruire fiducia anche sul piano dei valori e della trasparenza nell’adozione dell’IA.

Verificare le fonti da cui attinge l’intelligenza artificiale

Quando si parla di informarsi e rimanere aggiornati attraverso la fruizione di contenuti rilevanti per la propria categoria, i fattori che generano fiducia tra i professionisti sono chiari: la trasparenza sulle fonti e i dati (39%), la pertinenza e accuratezza delle informazioni (38%) e la credibilità di chi condivide i contenuti (33%). Anche la reputazione della piattaforma da cui si attingono le informazioni, al di là dell’autore, è considerata rilevante dal 31%.

Ma, in fin dei conti, è la voce degli esperti che conta: l’85% dei professionisti italiani dichiara che creator e thought leader influenzano notevolmente la propria propensione a interagire con contenuti online, con un 16% che segue attivamente un professionista che considera un esperto del settore.

Infine, la dimensione relazionale è cruciale anche per informarsi, favorendo l’interazione con i contenuti disponibili online: il 25% preferisce video brevi condivisi da persone della propria rete, percepiti come più autentici e affidabili, mentre il 18% si sente coinvolto da post personali che raccontano esperienze dirette.

I leader? Devono facilitare il cambiamento

In conclusione, l’introduzione accelerata dell’IA e il costante evolversi delle dinamiche lavorative stanno generando un forte senso di pressione e paura di rimanere indietro. Il 34% dei professionisti intervistati ritiene che il ritmo del cambiamento sul lavoro non sia sostenibile per il proprio benessere, un dato che cresce sensibilmente tra i più giovani: il 45% dei 25–34enni e il 42% dei 18–24enni si dichiarano d’accordo.

La fatica emotiva si accompagna a una difficoltà concreta quando si tratta di “staccare”: il 35% afferma di non riuscire a disconnettersi a causa del ritmo accelerato, con picchi tra i 25–34enni (48%) e i 18–24enni (40%). Questa trasformazione si riflette anche sulla quantità di lavoro percepita: il 37% dichiara che il proprio carico è aumentato significativamente a causa dei cambiamenti recenti.

In questo scenario incerto, oltre la metà dei professionisti (53%) guarda alla leadership come riferimento chiave per navigare il cambiamento.  E il 45% ritiene che l’azienda stia aiutando i team a tenere il passo con le trasformazioni in atto.

Un fattore di grandissima rilevanza, considerando che il 48% degli intervistati è convinto che l’IA porterà a un maggiore focus sulle competenze rispetto alle qualifiche più tradizionali, come ad esempio una laurea o un altro tipo di diploma. Resta che l’IA non è (solo) una questione tecnica, ma anche culturale. Per questo, le aziende hanno oggi l’opportunità – e la responsabilità – di accompagnare i professionisti non solo con corsi e tool, ma con visione, dialogo e contesto. Perché spiegare verso che tipo di futuro stiamo andando è parte essenziale del guidare l’innovazione.

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