Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne: il nuovo fronte degli spazi di lavoro digitali
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre, nuovi dati riportano l’attenzione su una dimensione ancora poco riconosciuta del fenomeno: quella che si consuma negli spazi digitali, sempre più intrecciati con la vita professionale. L’analisi, presentata in seguito al nuovo sondaggio dell’OsservatorioD, condotto da SWG per Valore D, e sul secondo capitolo della policy “Dal silenzio all’azione”, realizzata da Valore D e PermessoNegato in collaborazione con la Fondazione Una Nessuna Centomila, esplora la violenza di genere online e il suo impatto nei contesti di lavoro.
La trasformazione digitale ha esteso i luoghi del lavoro oltre gli uffici fisici: chat aziendali, piattaforme collaborative, social network professionali e canali informali sono diventati parte integrante dell’esperienza lavorativa, aprendo nuove opportunità ma anche frontiere inedite di violenza di genere. In questi ambienti ibridi, dove vita personale e ruolo professionale si sovrappongono, la violenza digitale può diffondersi con rapidità, assumere forme difficili da riconoscere e incidere sulla sicurezza, sull’inclusione e sulle traiettorie di carriera delle persone che la subiscono.
Violenza digitale, un fenomeno sottostimato
Hate speech, revenge porn, cyberstalking, doxing, gender-based trolling sono solo alcune delle forme che la violenza digitale di genere può assumere, nella vita privata come in quella professionale, con contenuti che seguono la vittima ovunque, si amplificano in rete e restano online in modo potenzialmente permanente.
Proprio questa combinazione di pervasività, amplificazione e memoria digitale rende la violenza online una minaccia difficile da riconoscere e contrastare, soprattutto quando si intreccia con relazioni di potere asimmetriche e dinamiche gerarchiche tipiche dei contesti lavorativi.
Il nuovo sondaggio dell’OsservatorioD mostra come quasi tre italiani su quattro conoscono fenomeni di cyberbullismo, revenge porn e molestie sessuali online, segno di una consapevolezza di base ormai diffusa sul tema. Questa consapevolezza però si riduce drasticamente di fronte a forme più specifiche e meno nominate, come la sextortion – estorsione basata su immagini intime – e il doxing – diffusione online di informazioni private e sensibili – che risultano note a meno di quattro persone su dieci.
Le generazioni più giovani, le stesse che vivono la maggiore continuità tra vita digitale e vita lavorativa, emergono come particolarmente esposte: tra i 18 e i 34 anni, il 15% dichiara di aver subito personalmente episodi di violenza di genere online e il 23% conosce qualcuno che ne è stato vittima. Numeri che confermano quanto rilevato anche da altre ricerche su adolescenti e giovani adulti, che segnalano nella violenza verbale, nel bullismo online e nelle molestie sessuali digitali una componente ormai strutturale dell’esperienza in rete, non un’eccezione marginale.
Una minaccia per salute e diritti
Oltre l’80% delle persone intervistate considera la violenza di genere online un problema serio, con effetti concreti sul benessere psicologico, sulla salute mentale e sul senso di sicurezza nello spazio digitale. Il 78% collega esplicitamente il fenomeno alla carenza di educazione digitale ed emotiva, mentre il 63% – soprattutto giovani e donne – ne riconosce la matrice patriarcale, legata a modelli culturali che legittimano il controllo, l’umiliazione e la ridicolizzazione delle donne.
Questo quadro si inserisce in un contesto internazionale preoccupante: stime riportate da organismi internazionali indicano che una larga maggioranza delle donne nel mondo ha sperimentato almeno una forma di abuso online, a conferma del carattere globale e sistemico della violenza digitale di genere. Anche a livello nazionale, l’aumento delle segnalazioni di minacce, revenge porn e stalking online registrato negli ultimi anni indica che non si tratta di episodi isolati, ma di una trasformazione profonda del modo in cui la violenza si manifesta attraverso e dentro i media digitali.
Quando lavoro e vita privata si fondono
Il confine tra sfera personale e professionale, negli spazi digitali, è sempre più labile: chat di gruppo, canali informali, piattaforme di messaggistica istantanea e social usati per scopi di networking creano ambienti ibridi in cui ruoli lavorativi e relazioni private si sovrappongono. Non sorprende quindi che il 64% del campione ritenga che la violenza di genere online possa verificarsi non solo nella vita privata, ma anche nei contesti di lavoro, con episodi che nascono in azienda e proseguono fuori o viceversa.
Il report mette in evidenza come la violenza digitale di genere mini la sicurezza, l’inclusione e la produttività delle persone che la subiscono, generando autocensura, riduzione della propria presenza online, rinuncia a opportunità di esposizione professionale e, nei casi più gravi, abbandono del posto di lavoro. Si configura così un vero e proprio “soffitto di cristallo digitale”, un ulteriore ostacolo invisibile che colpisce in modo sproporzionato le donne e le persone più esposte alla discriminazione, incidendo sulle possibilità di carriera e partecipazione piena alla vita organizzativa.
Le conseguenze non sono solo individuali: la violenza digitale mina la coesione dei team, deteriora il clima di fiducia e può danneggiare in modo significativo la reputazione aziendale, specie quando gli episodi emergono pubblicamente o coinvolgono clienti e stakeholder esterni. Non a caso, tre italiani su quattro chiedono un impegno più deciso non solo alle piattaforme digitali, ma anche a istituzioni, scuole e aziende, indicando tra le misure prioritarie la creazione di canali sicuri per le segnalazioni, la formazione obbligatoria sul tema e l’adozione di codici di condotta chiari.
Dal silenzio all’azione: il nuovo addendum digitale
Per rispondere a questa urgenza, Valore D e Fondazione Una Nessuna Centomila, con il contributo di PermessoNegato, presentano il secondo capitolo della policy “Dal silenzio all’azione”, un addendum dedicato specificamente alla violenza di genere digitale nel mondo del lavoro. Il documento si inserisce nel percorso avviato con il primo volume, che ha fornito alle imprese una cornice strutturata per affrontare la violenza di genere e domestica, estendendo ora il raggio d’azione agli spazi online che accompagnano, e spesso condizionano, l’esperienza professionale.
Il nuovo capitolo propone alle imprese un piano d’azione strategico, da integrare nei processi organizzativi ed evitare che la lotta alla violenza digitale si riduca a campagne episodiche o iniziative simboliche concentrate attorno al 25 novembre. Il primo passo riguarda l’assessment e la mappatura dei rischi, per analizzare in modo sistematico le vulnerabilità tecnologiche, organizzative e culturali, individuando dove e come gli strumenti digitali possono diventare vettori di abuso o molestie.
Un secondo asse è rappresentato dall’adozione di policy chiare e aggiornate, che includano codici etici e di condotta digitale, procedure di whistleblowing sicure (segnalazioni riservate di illeciti o abusi) e protocolli di gestione delle crisi reputazionali legate a episodi di violenza di genere online. Affinché queste policy non restino sulla carta, è necessario collegarle a responsabilità definite, a processi di monitoraggio e a meccanismi sanzionatori effettivi, evitando il rischio di un “policy washing” che sposti l’onere del cambiamento sulle singole vittime.
La formazione continua costituisce un terzo pilastro: il documento richiama l’importanza della digital literacy (competenze di uso consapevole degli strumenti digitali) e del bystander training (formazione di chi assiste su come intervenire), insieme alla preparazione dei leader nel riconoscere i segnali di disagio. Questa dimensione formativa, se declinata solo come responsabilità individuale, rischia però di essere insufficiente, motivo per cui la policy insiste sul collegamento tra formazione, cultura organizzativa e pratiche quotidiane di gestione dei team.
Un quarto ambito chiave è la sensibilizzazione e l’educazione digitale, che includono la consapevolezza sulle implicazioni della condivisione di dati personali, sull’uso delle immagini e sulla permanenza dei contenuti negli ecosistemi digitali, anche quando si opera in ruoli professionali. Infine, il supporto alle vittime non può essere lasciato alla buona volontà dei singoli: la policy indica la necessità di canali di segnalazione anonimi, supporto psicologico e legale e una cultura aziendale che contrasti apertamente ogni forma di colpevolizzazione della vittima.
Per le aziende, il nuovo addendum rappresenta una doppia sfida: da un lato, riconoscere che la violenza di genere digitale non è un problema esterno da gestire solo quando esplode in rete, ma un fattore di rischio organizzativo che incide su benessere, sicurezza e retention. Dall’altro, assumersi la responsabilità di trasformare i propri spazi digitali – interni ed esterni – in luoghi in cui consenso, rispetto e tutela della dignità di tutte le persone non siano eccezioni regolamentate, ma parte integrante del modo stesso di lavorare.