Divari da colmare, talenti da coltivare. Il futuro del lavoro riparte dai territori
Il futuro del lavoro sarà fatto, sempre di più, di divari. Divari di competenze, con il 22% delle posizioni lavorative che entro il 2030 subirà una trasformazione significativa per l’arrivo dell’intelligenza artificiale; divari di mercato, con il 48% delle assunzioni programmate dalle imprese che già oggi risulta di difficile realizzazione a causa della carenza di profili adeguati; divari di genere, con appena una donna su due occupata in Italia, con profondi divari territoriali; e divari di opportunità. Quest’ultimo, forse, è il gap più drammatico: il 40% dei ragazzi/e italiani/e crede che il punto di partenza coincida con il punto di arrivo e che né la scuola né tantomeno il lavoro possano garantire percorsi di crescita e sviluppo. È partito da qui il tavolo di lavoro che GoodJob! e Fare Impresa hanno realizzato a Napoli, in collaborazione con l’Università Parthenope: “Competenze e territori: strategie per ridurre i divari e rafforzare gli ecosistemi locali”, un’occasione di confronto tra generazioni e realtà diverse, dal terzo settore al mondo dell’innovazione digitale, per condividere visioni e strategie che mettano al centro il capitale umano come leva di innovazione e crescita.
Il dibattito sui divari è partito dal ruolo delle accademie, spesso accusate di non dotare le nuove generazioni delle competenze utili sul mercato del lavoro: «Le università vivono un conflitto forte nelle aspettative: la società ci chiede di formare i giovani, ma non è questo il nostro compito – avverte Maria Ferrara, professoressa ordinaria di Organizzazione Aziendale e presidente del Comitato unico di Garanzia dell’Università Parthenope – noi dobbiamo essere alla frontiera della conoscenza e nella ricerca e dare agli studenti il metodo più utile per fronteggiare i cambiamenti del mondo del lavoro».
«I divari di competenze non sono soltanto una questione formativa – aggiunge la professoressa associata di Economia e Gestione delle imprese dell’Università Parthenope, Rossella Canestrino – sono, prima di tutto, divari di attenzione. Dovremmo riscoprire l’alertness, ovvero la capacità di riconoscere opportunità dove altri vedono limiti». Una capacità che nasce dalla profonda conoscenza del contesto e consente di attivare processi imprenditoriali, leggendo il territorio come spazio di possibilità e non solo di vincoli. È proprio a partire dall’alertness che sono nate realtà come Chikù, la prima impresa sociale d’Italia che mette insieme donne rom e italiane che vivono a Scampia in un percorso pedagogico e di emancipazione professionale ed economica. «Con Chikù proviamo a creare prospettive concrete per chi abita in un territorio complesso, caratterizzato da una condizione di disagio abitativo, economico e sociale con percentuali preoccupanti di disoccupazione, lavoro nero ed emigrazione» – spiega Emma Ferulano.
«Il 45% delle persone abita in territori ad alta marginalità. In questi contesti il lavoro si affronta con disincanto e disillusione. Qui, servono visione e scenario, ma anche spazi di “vuoto” in cui i giovani possono sperimentare percorsi in autonomia» – suggerisce Renato Quaglia, direttore di Foqus, Fondazione Quartieri Spagnoli, progetto nato per contrastare l’emarginazione e favorire lo sviluppo socio-economico dei quartieri spagnoli di Napoli, attraverso la creazione di nuova impresa e nuova occupazione. Secondo Cesare Moreno, presidente dell’associazione Maestri di Strada, realtà composta da educatori/trici e professionisti/e che lavorano contro dispersione scolastica: «il lavoro dovrebbe tornare a essere un’esperienza cooperativa, significativa e utile. E la scuola dovrebbe insegnare proprio questa interdipendenza, innescando processi di socializzazione e appartenenza alla comunità».
Ma la comunità è fondamentale anche per chi opera in contesti diversi, più legati al mondo del digitale. Con questa esigenza è nato il Google Developer Group Napoli, una community di sviluppatori, studenti, startup e aziende riconosciuta nel panorama tech europeo e guidata da Sergio Caiazza: «Siamo un’associazione che valorizza il talento e lavora per trasformare la passione per la tecnologia in opportunità concrete, creando eventi, fiere, mostre, connessioni e percorsi che diano energia nuova alla città e al suo ecosistema». È fondamentale, infatti, che chi sceglie di restare o di tornare a vivere in territori ad alto tasso di emigrazione, possa contare su una rete di appartenenza, come testimoniato anche da Luca Rongo, Ceo di Xplore, che dopo una carriera internazionale tra la California e i Paesi Bassi, è tornato a Napoli per guidare un’azienda tecnologica nata come spin-off universitario: «Con Xplore stiamo costruendo un ambiente di lavoro aperto, collaborativo e sostenibile basato su orari flessibili, smart working, gruppi di ascolto e strumenti di welfare che mettono le persone al centro».
Dare centralità al capitale umano significa anche investire in una formazione accessibile. «È il progetto alla base di Universe, startup ed tech campana che usa l’AI per ridurre i divari di competenze e rendere l’apprendimento personalizzato e misurabile» – chiarisce Alexandra Berdova, responsabile comunicazione della startup. E, parallelamente, ripensare la funzione delle risorse umane: «Solo la collaborazione multidisciplinare tra chi si occupa di organizzazione, di innovazione tecnologica e di sviluppo umano, può generare un ecosistema capace di sostenere il cambiamento, in cui anche le imprese più piccole trovano il supporto necessario per crescere in modo sostenibile» – riflette Roberta Musella, amministratrice ed HR Consultant di Innovation 4 HR, azienda innovativa campana attiva nel campo delle risorse umane.
Ma l’innovazione passa anche dalla capacità di vedere il capitale umano sommerso in modo nuovo, attraverso soluzioni creative come 20Seconds, startup cofondata da Andrea La Gioia che dà la possibilità alle/ai candidati di mostrare in pochi secondi i propri talenti passando dal curriculum tradizionale alla logica immediata dei social network: «Siamo il primo Work Talent Show al mondo che abbatte tempi e costi di selezione e rafforza gli ecosistemi locali con la tecnologia, non per sostituire l’umano, ma per aiutarlo a velocizzare il match domanda-offerta di lavoro». Esperienze diverse che nascono da una competenza comune: la creatività. «Una risorsa strategica che consente alle generazioni di immaginare nuovi scenari, combinare competenze diverse e generare soluzioni originali a problemi complessi» – sottolinea Dario De Notaris, learning & development consultant.
E altrettanto strategico deve essere il lavoro sull’orientamento, responsabilità tanto dei singoli quanto del sistema formativo, fa notare Fernando Del Rosso, Ceo di Fare Impresa: «Siamo un incubatore certificato e società benefit e lavoriamo ogni giorno per trasformare territori apparentemente periferici in luoghi generativi, capaci di produrre innovazione, opportunità e benessere. La collaborazione pubblico–privato è una leva imprescindibile perché Il futuro del lavoro non è solo una questione di nuove professioni: è la capacità collettiva di generare contesti abilitanti per talenti, imprese e istituzioni».
Serve una nuova alleanza, dunque, tra scuola e impresa, tra pubblico e privato, tra innovazione tecnologica e inclusione sociale. Solo così potremo trasformare i divari in possibilità, i limiti in percorsi di crescita, e costruire un’economia che metta al centro le persone e le comunità.