Il futuro demografico parte dalle aziende: così si rimuovono le barriere alla maternità

Il 9 maggio, alla vigilia della Festa della Mamma, Valore D e Fuori Quota mettono in discussione la compatibilità fra desiderio di famiglia e prospettive professionali con il white paper “Rimuovere le barriere alla maternità”, frutto della collaborazione con Bain & Company. Il rapporto fotografa un’Italia in cui solo poco più di una donna su due lavora e in cui l’indice di invecchiamento, con 193 anziani ogni 100 giovani, segnala un sistema demografico sotto pressione. Proprio in questo contesto cresce l’urgenza di capire perché la scelta di avere figli resti, per molte lavoratrici, sinonimo di rinunce e penalizzazioni.

Il termometro del paese: salari bassi, precarietà e timore di perdere terreno

Il sondaggio realizzato da Valore D con SWG mostra come otto italiani su dieci chiedano un intervento deciso delle istituzioni a favore della genitorialità. Emerge anche un’aspettativa precisa verso le imprese: l’80% delle donne vorrebbe misure aziendali più robuste. Gli intervistati indicano in stipendi insufficienti e lavori poco stabili i principali freni alla natalità, evidenziando come l’incertezza economica finisca per zavorrare le scelte di vita. La maternità, di conseguenza, diventa un test cruciale già durante i colloqui: il 77% del campione ritiene che la possibilità di avere figli penalizzi le candidate nella selezione e, una volta assunti, i timori non si attenuano. Il 70% dei rispondenti parla di ostacoli quando si chiede il congedo di maternità, mentre il 64% denuncia percorsi di rientro che non offrono reali opportunità di crescita. Le generazioni più giovani avvertono con maggiore intensità questo rischio, a conferma di quanto il legame fra carriera e famiglia rimanga precario.

L’effetto carriera: cinque passaggi decisivi da presidiare

Il white paper individua cinque momenti chiave nella vita professionale in cui la maternità si trasforma in trappola o, al contrario, può diventare leva di inclusione. La fase di selezione, per cominciare, resta un imbuto segnato da pregiudizi: adottare curriculum anonimi e formare i recruiter sui bias aiuta a neutralizzare domande intrusive e valutazioni discriminatorie. Seguono gravidanza e congedo, periodi in cui le future madri rischiano l’isolamento: qui entrano in gioco figure di accompagnamento – i cosiddetti maternity e paternity angels – e l’estensione dei congedi oltre i minimi di legge. Il rientro è il momento più delicato, con un abbandono che tocca il 16% delle lavoratrici al primo figlio: il lavoro ibrido strutturato, i contributi per la cura dei bambini e spazi aziendali dedicati all’allattamento possono fare la differenza. Superata la soglia del ritorno, rimane la barriera degli avanzamenti di carriera: programmi di sponsorship femminile e totale trasparenza sui criteri di promozione riducono gli effetti di stereotipi che vedono la cura come ostacolo all’autorevolezza. Infine, l’equilibrio vita-lavoro chiude il cerchio: quando orari e carichi familiari non vengono redistribuiti, la parità resta sulla carta. Giornate in cui i figli entrano in azienda e un calendario scolastico più allineato ai tempi di lavoro segnalano che la condivisione dei compiti di cura riguarda entrambi i genitori.

Oltre il quick win: investire oggi per un beneficio collettivo

Alcune soluzioni richiedono budget limitati – per esempio percorsi formativi mirati o la revisione delle procedure di selezione – altre implicano investimenti strutturali, come la creazione di nidi aziendali o la copertura di una childcare allowance. Eppure, osserva Valore D, le imprese che adottano un approccio organico alla genitorialità registrano un calo del turnover femminile e tempi di ri-onboarding più brevi, con effetti positivi su produttività e innovazione. Il beneficio riguarda anche gli uomini, perché diffonde un modello di paternità attiva che riduce lo stigma sulla cura. Il report riconosce tuttavia che nessuna azienda può rovesciare da sola la piramide demografica: senza infrastrutture pubbliche diffuse – nidi, tempo pieno scolastico, servizi territoriali di prossimità – il cambio di passo rimane incompleto.

«La maternità va riconosciuta come generatore di valore sociale ed economico. Affiancare le buone pratiche aziendali a misure pubbliche strutturali significa costruire un contesto più favorevole alla crescita e all’inclusione delle donne nel tessuto produttivo, a beneficio di tutto il Paese», dichiara Barbara Falcomer, direttrice generale Valore D

Maurizia Iachino, presidente Fuori Quota, commenta: «Dobbiamo superare l’idea di maternità come carico esclusivo femminile e abbracciare una cultura di genitorialità equa, condivisa da istituzioni, aziende e società civile. Solo così libereremo il potenziale delle donne e affronteremo con fiducia la sfida demografica».

Ti potrebbe interessare