Larin, l'azienda full remote da Belluno al mondo: «Chiudere tre uffici ci ha fatto crescere»

«Prima del Covid eravamo un’azienda molto locale. Poi abbiamo chiuso gli uffici e si è aperto il mondo. Il numero di clienti si è ampliato, il numero di dipendenti e collaboratori anche, il giro d’affari si è allargato a tutto il centro e il nord italiano». Non ha rimpianti né rammarichi Marco Da Rin Zanco il fondatore di Larin – piccola srl attiva nel campo della programmazione e del marketing digitale con base a Belluno e uffici a Padova e Bolzano – che due anni fa ha colto il lockdown duro per effetto del Covid come un’opportunità.

All’inizio di maggio 2020 in poche settimane ha disdetto bollette e contratto di affitto dei tre uffici e tutta l’azienda è stata trasferita on line. Soci, dipendenti e collaboratori occasionali operano esclusivamente a distanza trasformando così un obbligo dovuto all’emergenza sanitaria in una scelta.

A due anni e mezzo di distanza Da Rin può girà tracciare un bilancio di questa singolare esperienza. «Fino al 2020 avevamo anche clienti distanti ma questi erano più l’eccezione che la regola. Questo perché incontrarsi fisicamente era considerato fondamentale. Ora il 70 per cento del nostro fatturato viene da fuori provincia. Oggi avere un fornitore con cui interfacciarsi da remoto è molto più normale rispetto a pochi mesi fa».

La caduta dei limiti di prossimità

Nei primi mesi, qualche cliente si è perso per strada, ammette Da Rin. «Erano quelli abituati a venire in ufficio o a ricevere assistenza nelle loro sedi anche su servizi che potevano benissimo essere gestiti a distanza. Spiace, come sempre, perderli, ma il percorso che abbiamo avviato ci ha portato ad allargare la platea. Anche dal punto di vista geografico. Fino a due anni fa c’era una prevalenza di clienti da Triveneto e Lombardia. Non avere più delle basi geografiche ci ha portato ad essere dei competitor in un ambiente in cui la presenza fisica è del tutto ininfluente, non dà una, dico una rassicurazione in più al cliente. Ma è un ambito più produttivo e più qualificante».

Con molti dei nuovi clienti i collaboratori di Larin non si sono mai incontrati in presenza e anche il numero di riunioni operative che all’inizio era schizzato in alto, ora si è ridotto all’osso. «Questo non significa che non conosciamo i nostri clienti: cerchiamo di capire a che tipo di relazione sono abituati e di adattarci alle loro necessità. Ce ne sono molti che non abbiamo mai visto dal vivo, altri per cui capiamo che l’incontro è importante, in questo caso i nostri account fanno qualche chilometro in più. Gli incontri però sono diversi: se prima per un progetto ci si vedeva decine di volte per questioni operative, ora è normale ‘smarcarle’ in video-call, e così quando ci si vede è magari per mangiare qualcosa insieme, ragionare di nuovi sviluppi, parlare del futuro più che per questioni operative. Complessivamente i risultati sono positivi e lo leggiamo in due modi: la soddisfazione dei clienti e l’andamento del fatturato. Per quanto riguarda la customer satisfaction la misuriamo in maniera maniacale: dal 1 gennaio a oggi abbiamo raccolto 153 valutazioni con un voto medio di 4,53/5. Ogni volta che c’è un voto negativo parte un processo in cui intervistiamo il cliente per capire cosa non ha funzionato, rimediare ed imparare. Dal punto di vista del fatturato prevediamo di chiudere il bilancio 2022 con una crescita tra il 20 e il 30% rispetto al 2021».

La scelta fu dei collaboratori

Contrariamente a quanto si possa credere, la scelta di lavorare da remoto, Larin l’ha fatta sulla spinta dei propri dipendenti e collaboratori. «Ci stavamo lavorando da tempo al passaggio di ‘virtualizzare’ l’azienda. Il vantaggio che vedevamo era doppio, liberarci da una serie di costi fissi legati agli spazi fisici e aumentare la flessibilità del lavoro. Il programma era di ‘staccare la spina’ tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023. Avevamo cominciato, per esempio, dismettendo i computer fissi e dotando tutti di portatile e, in alcuni casi, c’erano dipendenti che facevano già una quota di lavoro da remoto. Poi è arrivato il Covid e abbiamo passato marzo e aprile forzatamente ognuno dentro casa sua. Ma noi, rispetto ad altre realtà, eravamo un po’ più preparati».

A fine aprile del 2020, quando si cominciava a parlare di riaperture, è stato chiesto a tutti i collaboratori cos’avrebbero voluto fare, con colloqui individuali. Tranne una persona, la domanda è stata di non rientrare in ufficio. I maggiori costi individuali del lavoro da remoto sono compensati da una flessibilità senza pari.

«Smart working significa lavorare dove si desidera perché non si ha un ufficio fisso», chiarisce il fondatore di Larin. «Due nostri collaboratori sono stati per mesi alle Canarie. Io stesso ho passato diverse settimane in montagna, nella casa dei miei nonni. Di più, significa applicare entro certi limiti un buon grado di flessibilità perché non va garantita la presenza fisica e non è necessario timbrare un cartellino».

Certo, esiste sempre la possibilità di abusi, ma «sul tempo dedicato al lavoro c’è il contratto a fare da bussola. Io non posso impiegare una persona per un numero maggiore di ore di quelle previste dal contratto, indipendentemente che sia in un ufficio fisico, a casa sua o su un’isola in mezzo all’oceano. Su questo aspetto ci siamo dotati di un sistema digitale che conta le ore fatte di ogni dipendente o collaboratore che rappresenta un limite da non oltrepassare, anche perché cerchiamo di non accumulare straordinari».

Nessun effetto della great resignation

L’ondata di dimissioni volontarie che ha colpito le imprese italiane e venete in particolare nell’ultimo biennio ha risparmiato Larin, forse, sostiene Da Rin Zanco, anche grazie alla possibilità che diamo di lavorare esattamente nel luogo che uno preferisce.

«In tutto ci hanno lasciato due collaboratori all’inizio perché cercavano qualcosa di più tradizionale e uno ultimamente, allettato dall’offerta di una grande multinazionale – afferma il fondatore di Larin –. Però, attenzione, nel frattempo ne abbiamo assunte altre otto, sopratutto al sud e che non si sono ancora mosse da dove abitano, proprio garantendo la possibilità di lavorare a distanza. La nostra responsabile amministrativa, per dirne una, sta a Teramo».

Secondo Da Rin Zanco «in parte questo è merito del remote working: le statistiche dicono che, soppesando i pro e i contro che ha il lavoro da remoto, è comunque una formula tendenzialmente molto apprezzata dai giovani (l’età media della nostra azienda è 31 anni). Non credo però sia ‘solo’ lavorare da casa, ma piuttosto aver lavorato perché molte cose, che normalmente sono lasciate ‘al caso’ e in ufficio, diventassero processi e cultura aziendale. Ad esempio, ogni mese ogni collaboratore ha un checkpoint con il suo responsabile, un dialogo in cui riceve un feedback sul suo lavoro ma può dare un feedback su come si trova in azienda, sulle sue ambizioni, sull’operato stesso del responsabile. Inoltre – prosegue – sempre ogni mese viene compilato da tutti un questionario sulla propria soddisfazione, se il carico di lavoro è considerato giusto, se ci si sente valorizzati, eccetera. Il fatto di ‘non vedere’ le cose come in un normale ufficio obbliga a creare degli strumenti che, per assurdo, permettono di vederle meglio e in misura più oggettiva. Altra cosa eccezionale per un’azienda è riuscire a trovare collaboratori o dipendenti che sono al 100 per cento compatibili con le sue esigenze, non solo sul profilo professionale, ma anche rispetto alla disponibilità di tempo».

Come coltivare una cultura aziendale da remoto

Le criticità esistono, ma per fortuna ci sono anche modi per affrontarle, dice il fondatore di Larin. Servono una mentalità e prassi organizzative differenti, perché non è solo la cultura aziendale a cambiare.

«Intanto bisogna dare molta fiducia, ma in questo per fortuna eravamo abituati. Non ho mai marcato stretto i dipendenti neppure in ufficio, preferisco delegare molto e controllare il loro lavoro a scadenze predefinite. Poi c’è l’aspetto umano. Mancando lo spazio fisico condiviso non c’è un luogo per socializzare, scambiarsi informazioni, fare amicizia, anche litigare. In Larin abbiamo deciso di fare due incontri all’anno in presenza. Sono due appuntamenti per fare il punto sull’azienda ma soprattutto per sopperire alla carenza di frequentazione ‘fisica’ quotidiana. Poi ci sono i singoli team, ad esempio quello che tiene i rapporti diretti con i clienti, che hanno deciso di incontrarsi con una certa frequenza. Due volte la settimana abbiamo il ‘Larin Cafè’, una riunione telematica a cui partecipa chi vuole e dedicata solo al rilassamento collettivo. Infine, se prima facevamo i colloqui individuali una volta l’anno, adesso li facciamo una volta al mese».

Come si mantiene il senso di appartenenza e la fedeltà

Quello del senso di appartenenza, spiega Marco Da Rin Zanco, «è un tema per tutti, per le grandi aziende riguarda la sicurezza, per le piccole come la nostra significa riuscire a convincere ogni giorno le persone che lavorano nel posto più adatto alle loro esigenze. Noi abbiamo aumentato il coinvolgimento di tutti sul lungo termine aziendale e la trasparenza. Per esempio, abbiamo attivato un cruscotto con indicatori quali ricavi, spese, numero clienti, soddisfazione o criticità dei clienti, tempi dei progetti. Queste informazioni sono accessibili a tutti indistintamente poiché aiutano a comprendere il percorso che stiamo facendo tutti insieme e di cui, pur con gradi diversi, ciascuno è responsabile. L’altro aspetto su cui stiamo lavorando è la formalizzazione dei progetti di crescita o di carriera individuali. Vuol dire che nel momento in cui accadono determinati eventi – aumento del fatturato, acquisizione di nuovi clienti – scattano dei benefici per il dipendente. In definitiva credo che i dipendenti con lo smart working possono godere delle stesse libertà dell’imprenditore senza averne però le incombenze».

Ti potrebbe interessare