Laureati e lavoro: per Almalaurea occupazione in crescita, ma il mismatch resta un nodo da sciogliere

Aumentano le opportunità occupazionali per i laureati italiani, ma il disallineamento tra formazione universitaria e richieste del mercato del lavoro – il cosiddetto mismatch – resta un fenomeno diffuso e complesso. È quanto emerge dal XXVII Rapporto Almalaurea sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei laureati, presentato il 10 giugno 2025 all’Università degli Studi di Brescia.

Il rapporto, illustrato nel corso del convegno Laureati e lavoro nel prisma del mismatch, fotografa la situazione di oltre 305 mila laureati del 2024 per quanto riguarda il profilo formativo e di circa 690 mila per l’inserimento nel mercato del lavoro, a uno, tre e cinque anni dalla laurea.

I dati segnalano un tasso di occupazione a un anno dal titolo ai massimi dell’ultimo decennio e un aumento delle esperienze internazionali riconosciute dai corsi di laurea. Tuttavia, il quadro che emerge sul fronte del mismatch – inteso come discrepanza tra competenze acquisite e attività lavorative svolte – conferma la natura multidimensionale del fenomeno: influenzato da variabili quali origine sociale, genere, territorio e motivazioni personali alla base della scelta del percorso di studio.

Un terzo dei laureati svolge un lavoro che richiede minore istruzione

Tra i laureati occupati a un anno dal titolo, oltre il 30% svolge un lavoro per il quale il titolo universitario non è formalmente richiesto e nel quale le competenze apprese non sono utilizzate in modo significativo. La quota sale al 39,3% tra i laureati triennali e si attesta al 31,9% tra quelli magistrali. A cinque anni dalla laurea, il fenomeno si attenua ma resta rilevante: coinvolge ancora un quarto degli occupati.

I mismatch sono più frequenti nei gruppi disciplinari umanistico-letterari, arte e design, linguistico, politico-sociale e psicologico. Le differenze emergono anche sul piano socio-culturale: i laureati con genitori a loro volta laureati risultano meno esposti al disallineamento, specie se hanno scelto lo stesso ambito di studi. Dal punto di vista del genere, invece, le donne risultano più spesso impiegate in ruoli che richiedono formalmente la laurea, ma dove l’uso delle competenze universitarie risulta limitato.

Non meno importante il ruolo delle motivazioni: i dati mostrano che una scelta poco consapevole del percorso universitario aumenta sensibilmente il rischio di mismatch professionale, sia nel breve che nel medio periodo.

Infine, il Rapporto segnala un calo nella disponibilità ad accettare lavori non coerenti con il percorso di studi: solo uno su quattro si dichiara pronto ad accettarli senza riserve, mentre oltre la metà lo farebbe solo come passaggio temporaneo. Una tendenza che riflette una crescente consapevolezza e aspettativa rispetto al valore del proprio titolo.

Percorsi di laurea: età, regolarità e gender gap

Dopo dieci anni di discesa l’età media al conseguimento del titolo risale lievemente a 25,8 anni (24,5 nei triennali, 27,1 nei cicli unici, 27,4 nelle magistrali biennali), mentre la quota di laureati “in corso” arretra al 58,7 %: quasi tre punti in meno sul 2023, complice lo stop alle proroghe post-Covid. Sul fronte della partecipazione restano saldamente in maggioranza le donne che raggiungono quasi il 60% (59,9 %), mentre la loro presenza nelle discipline STEM resta ferma al 41,1 % registrato ormai un decennio fa.

Esperienze formative: tirocinio e mobilità, dentro e fuori confini

Torna ai massimi l’esperienza di tirocinio curriculare: 61% dei laureati 2024, con un gradimento che sfiora il 95 %. La mobilità interna conferma la rotta Sud-Nord: si sposta il 28,7% dei diplomati meridionali (oltre un terzo se di estrazione socio-economica alta). All’estero riparte l’Erasmus: il 10,3% dei laureati ha seguito un periodo di studio oltreconfine, +2 punti sul biennio pandemico, con un vantaggio occupazionale di +7,9 punti a un anno dal titolo. Anche su questo fronte, il titolo di studio dei genitori influisce sulla scelta dei figli: parte il 16,3% dei figli di laureati contro il 7% di chi proviene da famiglie con titoli di studio più bassi.

Inserimento professionale: occupazione e contratti in chiaroscuro

Il 2024 fa segnare il record decennale di 78,6% di occupati a un anno dalla laurea (+4,5 punti sui triennali, +2,9 sui magistrali) e conferma livelli sopra il 90% dopo cinque anni. Crescono soprattutto i contratti stabili: 39,5% degli occupati triennali e 29,8% dei magistrali dopo dodici mesi, mentre a cinque anni raggiungono rispettivamente 73,9% e 54,6%. Scendono le formule a termine e formative; l’autoimpiego resta minoritario (8-15 %).

Retribuzioni, lavoro all’estero e nuove soglie di accettabilità

Le buste paga tornano a crescere in termini reali: 1.492 € netti mensili per i triennali e 1.488 € per i magistrali a un anno; 1.770 € e 1.847 € a cinque anni. Chi lavora fuori dall’Italia—il 4-5 % dei magistrali—incassa però oltre il 50 % in più (oltre 2.200 € netti) e raramente pensa al rientro. Intanto i neolaureati diventano più selettivi: puntare sulla “professionalità” significa +16,5 % di chance occupazionali, ma chiedere subito oltre 1.750 € o un lavoro perfettamente affine riduce le probabilità di impiego rispettivamente del 14,9% e del 9,6%. Segnale di un mercato che premia competenze spendibili, ma non sempre è disposto a pagare quanto i giovani si aspettano.

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