Organizzazioni aperte: un modello di lavoro più orizzontale e partecipativo è possibile

Nella gerarchia delle aziende c’è distinzione tra chi organizza il lavoro e chi lo esegue. Nonostante ciò, non c’è persona che attraverso il proprio lavoro quotidiano non incida sulla forma e sul modo in cui si svolgono le attività. “Organizzazioni aperte. Il lavoro progettato da chi lavora” di Alberto Gangemi e pubblicato da Ayros editore, racconta l’importanza di restituire a chi lavora il potere e la responsabilità di progettare il proprio impiego partendo da bisogni reali. Perché diventi realtà, però, serve mettere in discussione le pratiche e i modelli tradizionali, superare il paradigma gerarchico e provare nuove forme di collaborazione e organizzazione.

Il libro si potrebbe riassumere con una parola: organizzare. Chi lavora organizza le interazioni, i modi di produrre, di usare gli strumenti e le proprie risorse personali per risolvere tensioni e trovare l’equilibrio necessario per svolgere i compiti assegnati.

Ripensare il lavoro

La pandemia, il remote working e la Great Resignation hanno reso evidente la necessità di ripensare il lavoro. I segnali di cambiamento sono evidenti, così come le sfide che ne derivano. Un ambiente lavorativo che risponda a questa necessità, sottolinea Gangemi, deve essere caratterizzato da partecipazione alle decisioni, responsabilità distribuita, trasparenza delle informazioni, collaborazione e condivisione delle conoscenze, degli obiettivi e delle esperienze, relazione diretta con gli utenti, i clienti e i cittadini, e connessione con il territorio e il paesaggio. In un ambiente di questo tipo, le persone non hanno bisogno di evadere al termine della giornata lavorativa, poiché si sentono parte di qualcosa di più grande.

I motivi di una generalizzata incapacità di incontrare questi bisogni dipendono dalla forma e dalla struttura che le organizzazioni si danno e dalla cultura organizzativa che le sostiene. C’è l’urgente necessità di rinnovare gli approcci al lavoro e di conferire a coloro che utilizzano e operano all’interno dell’organizzazione la responsabilità di creare e testare nuovi modelli e paradigmi.

Gli ostacoli del cambiamento

Le aziende che hanno adottato un modello organizzativo più orizzontale e basato sull’autonomia delle persone sono ancora poche e non è così sorprendente: cambiare l’organizzazione vuol dire rinunciare (per chi dovrebbe promuovere il cambiamento) a una quota rilevante del proprio potere di decisione e assumersi (per chi dovrebbe ricevere il potere) più responsabilità, oneri e rischi.

Per garantire il cambiamento l’azienda deve assorbire il perché di questa scelta, i problemi che ne possono derivare e i benefici. È fondamentale anche la partecipazione diretta di chi guida l’organizzazione ed è responsabile della sua trasformazione. I progetti di trasformazione senza requisiti e intrapresi perché si deve o per moda, infatti, si rivelano in molti casi una fonte di tensione e frustrazione per le persone coinvolte.

«Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». Nel testo viene riportato quanto Tolstoj scrisse osservando la situazione in casa Oblonskij, nell’incipit di Anna Karenina. Da una prospettiva generale, i problemi delle organizzazioni sembrano tutti uguali. Tuttavia, quando si osservano da vicino, si possono notare differenze significative. Ad esempio, molte organizzazioni hanno problemi con la gestione delle informazioni, la condivisione delle conoscenze e l’accesso e l’utilizzo dei dati. Nonostante ciò, i modi in cui questi problemi si manifestano e vengono affrontati sono molto differenti.

Prima le pratiche, poi la cultura

Per cambiare un’organizzazione bisogna cambiarne la cultura, si sente dire spesso. Questo libro, invece, sostiene il contrario: per cambiare la cultura serve cambiare l’organizzazione e per cambiare l’organizzazione bisogna cambiare le pratiche. Cambiare partendo dalle pratiche è un approccio alternativo e poco diffuso che si basa su due presupposti. In primo luogo, le pratiche sono la base della cultura, poiché rappresentano i modi in cui le persone lavorano, si organizzano, prendono decisioni e collaborano. In secondo luogo, in un contesto aziendale, le persone si adattano al sistema in cui operano. Pertanto, non si può chiedere alle persone di essere più responsabili se la struttura e le sue pratiche rimangono invariate.

“Organizzazioni aperte” nasce dall’esperienza sul campo e offre spunti di riflessione, pillole di vita reale prese dalle giornate di lavoro e azioni concrete per provare a riformare le organizzazioni. Ci regala un punto di vista attento ed estremamente attuale su aspetti, e rituali del lavoro, che stanno assumendo un significato nuovo doveroso da comprendere.

Foto: Shutterstock

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