Parole che uniscono: oltre le barriere con il linguaggio dell’inclusione

Già da qualche tempo, i riflettori della società e delle aziende sono puntati sui temi di inclusione e diversità, identificati come priorità a livello etico, culturale ed economico. Come emerge infatti dal Report “Global Parity Alliance: Diversity, Equity and Inclusion Lighthouses 2023”, realizzato da McKinsey in collaborazione con il World Economic Forum, le organizzazioni nelle quali lavorano team con un alto tasso di varietà dal punto di vista etnico e di genere hanno rispettivamente il 36% e il 25% di probabilità in più di ottenere performance finanziarie migliori.

I benefici di una strategia di Diversità e Inclusione (D&I) di successo non si fermano qui: si alza il tasso di innovazione con l’offerta di una customer experience differenziata e di valore; migliora la capacità di gestione dei processi decisionali; si accresce la competitività del brand sul mercato nell’attrarre i nuovi talenti, in particolare i giovani della Generazione Z, particolarmente sensibili a queste tematiche.

L’attenzione alla D&I ha ricevuto una forte spinta anche dalla rapida evoluzione del settore ICT (Information and Communication Technologies), che ha reso la comunicazione più partecipativa, paritaria ed inclusiva, secondo un approccio “many-to-many” (molti-a-molti) che permette agli utenti di contribuire contemporaneamente alla creazione delle informazioni ed alla loro ricezione.

Atene e Roma, modelli diversi nella storia

Un tema caldo sotto tanti fronti, che ha radici antichissime: basti pensare ai miti di fondazione di Atene e Roma, i due poli della classicità, tra loro contrapposti proprio sul piano D&I: esclusivo il mito greco ed inclusivo quello romano. Dal momento che i miti di fondazione, lungi dall’essere semplici storie, cementano l’identità del gruppo, influenzando le istituzioni della città, notevoli sono gli impatti nella storia delle due civiltà: quella greca, contraddistinta da un forte senso di superiorità e chiusura verso lo straniero, uscì sconfitta dallo scontro con Roma da cui venne conquistata; quella romana, orientata sin dalle origini all’accoglienza, alla commistione ed integrazione di stirpi diverse, fondò un impero millenario, capace di di trattare nel medesimo giorno gli stessi popoli da nemici e da cittadini, come scrive lo storico Tacito.

Il duplice ruolo del linguaggio per l’inclusione

Tornando al presente, la transizione digitale sta dischiudendo nuove opportunità cui non tutti hanno pari accesso. L’Unione Europea è scesa in campo con una serie di politiche e iniziative, che spaziano dalla promozione del multilinguismo e delle tecnologie assistive alla creazione di competenze digitali, per rendere il mondo della rete più accessibile e inclusivo. Contribuisce in modo determinante a questo scopo il linguaggio, che, nel contesto professionale e non solo, ricopre un duplice ruolo come:

  • Veicolo di inclusione e diversità: l’uso della schwa o dell’asterisco per superare il binarismo di genere è un noto esempio (per quanto ancora dibattuto) dei vari tentativi che si stanno sperimentando per parlare a tutti e di tutti, con un approccio rispettoso delle differenze, non solo di genere ma anche di etnia, età, disabilità. Le espressioni discriminatorie sono solo una delle sfaccettature linguistiche da combattere: esistono altri tipi di linguaggio, come quello minimizzatore, che è subdolo in quanto sembra partire da intenzioni positive, ma nella sostanza banalizza il sentire dell’altro.
  • Abilitatore di una cultura D&I: parlando nello specifico del mondo aziendale, si tratta di un processo da attuare sia sul fronte interno che esterno. Un buon punto di partenza può essere la redazione condivisa, da parte delle diverse funzioni, di un manifesto e di una guida alla comunicazione inclusiva, con consigli semplici e di immediata applicazione. Anche la scelta di “ambassador” visibili nell’organizzazione contribuisce alla promozione delle iniziative D&I ai vari livelli. L’uso di un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti, sia impiegati che clienti, è un altro aspetto da tenere in gran conto, considerata la dilagante abitudine di impiegare tecnicismi settoriali, anche quando non sono necessari o senza fornire un’adeguata spiegazione di termini poco noti al grande pubblico. La narrazione che l’azienda fa di sé, sia dentro che fuori, deve poi dare spazio a voci e storie di persone e gruppi differenti, capaci di riflettere la ricchezza della diversità. Anche le comunicazioni rivolte ai nuovi talenti non vanno sottovalutate, in particolare gli annunci di lavoro, che spesso contengono un linguaggio non inclusivo: ad esempio, termini ed acronimi del gergo aziendale (come KPI, ossia indicatore di performance) rischiano di risultare difficili da capire o intimidatori soprattutto per i più giovani, mentre un lessico poco neutrale (come quello competitivo) può attirare maggiormente candidati di genere maschile piuttosto che femminile.

Le parole plasmano il mondo che ci circonda: ciò a cui non attribuiamo un nome non esiste e ciò che descriviamo con termini sbagliati rimane dietro le sbarre di pregiudizi e discriminazioni. Dal grande potere del linguaggio derivano grandi responsabilità.

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