Stiamo perdendo la battaglia per i talenti: ecco perché studenti e laureati fuggono dall'Italia

Il passaggio a una globalizzazione da economia “furiosa” come la chiama Paolo Manfredi in L’eccellenza non basta (copyright Giulio Tremonti), mostra in maniera sempre più nitida che l’economia dei flussi globali discende dagli hub metropolitani localizzandosi nelle città medie e nei territori con un processo di cooptazione. Allo stesso tempo la digitalizzazione sta liquefacendo il locale nelle sue vecchie interazioni di prossimità. E lì dove questo processo va avanti, la sopravvivenza di alcune imprese eccellenti non basta a garantire l’upgrade del territorio.

Un indizio che rende tracciabile questi processi è l’attrattività esercitata sui giovani laureati. Tra il 2010 e il 2020 l’emigrazione dall’Italia dei giovani 25-34 enni è stata crescente, con un picco di 18.000 proprio nell’anno del Covid. Nel 2021 si è assistito a un rallentamento peraltro correlato a un aumento dei rimpatri.

La situazione nel Nord Est

Il Rapporto ISTAT 2023 La situazione del Paese ci dice che i territori maggiormente interessati da espatrio dei giovani laureati nel Nord Est sono: Trieste (-10%), Bolzano, Vicenza, Treviso, Pordenone, Udine (tutte tra l’8 e il 10% in meno). Pertanto le province che conferiscono all’estero il maggior numero di laureati sono quelle caratterizzate dal fattore frontaliero e tutta la Pedemontana industriale.

Recuperano con le migrazioni interne di laureati dal sud l’asse del Brennero (Verona, Trento, Bolzano), Padova, Treviso, Udine, Trieste. Rimangono complessivamente in territorio positivo l’asse del Brennero e Padova con Trieste. Uno su quattro dei 25-34 enni laureati espatria nel Regno Unito, il 13% in Germania, 9% Francia, 8% Svizzera e 5% Usa (pp. 102-3).

In calo gli studenti che scelgono il Veneto

Oltre a questo fenomeno, ben noto, il Rapporto Statistico della Regione Veneto 2023 mette in luce un fenomeno interessante documentando non la mobilità dei laureati ma quella delle iscrizioni. Sono, infatti, “in diminuzione i giovani veneti che rimangono a studiare in Veneto”: “Emerge che la quota di veneti che rimangono in Veneto a studiare passa dal 73,3% delle lauree triennali, al 70,6% delle lauree magistrali, fino al 56,6% delle lauree a ciclo unico: gli studenti della nostra regione, quindi, tendono ad abbandonare il Veneto soprattutto per i corsi di laurea più specialistici” (pag. 113). In pochi anni questa tendenza è in consistente incremento: + 74% in Lombardia e + 100% in Emilia Romagna per frequentare i corsi delle lauree magistrali, studenti a ciclo unico in Lombardia + 25%.

Cresce la competizione tra università

Questi dati testimoniano un esodo anticipato per la scelta universitaria, riguardando quasi un veneto su due che predilige le lauree specialistiche, quindi fortemente professionalizzanti. E interrogano profondamente gli atenei veneti e alcuni aspetti importanti della loro offerta. Rappresenta un ulteriore tassello della vischiosità dei binari di trasmissione tra università e mercato del lavoro. È del tutto evidente che sta crescendo la competizione tra università e che il gruppo di testa è formato da quelle che hanno esplorato i sentieri maggiormente innovativi e coerenti con le rivoluzioni che stanno investendo il mondo delle imprese e del lavoro.

Nel Rapporto della Fondazione Nord Est 2023, dedicato a “La mappa delle possibilità infinite. Forze inespresse, attrezzi utili e percorsi fruttuosi”, c’è un contributo di Shira Fano e Gianluca Toschi “Cosa allontana il Nord-Est (e il resto d’Italia) dalle regioni europee più attrattive per i talenti” che fornisce i risultati nell’applicazione dell’indice RAI (Regional Attractiveness Index), una metrica dell’attrattività dei talenti.

Stoccolma, Parigi e Monaco le regioni più attrattive in Europa

Nessuna regione italiana è nel gruppo di testa delle prime 20, in cui primeggiano l’area di Stoccolma, l’Ile de France e l’Oberbayern (Monaco di Baviera). La prima italiana è la Lombardia (38° posto) e secondo è il Veneto (58°). Ebbene, dove perdono terreno le regioni del Nord Est? Lasciamo la parola ai due ricercatori: “Nonostante gli elevati livelli di reddito e occupazione, vengono perse posizioni per il basso numero di laureati rispetto alla media europea, per la ridotta quota di lavoratori impiegata in settori creativi e lavoratori della conoscenza e per la minor produzione di marchi e brevetti” (pag. 139).

È una diagnosi che di fatto responsabilizza tutti gli attori dalle istituzioni pubbliche all’università, dalle rappresentanze alle imprese per definire una risposta strategica per il futuro. O vogliamo rassegnarci a contemplare il quadro di eccellenze circondate da un’incipiente desertificazione demografica, sociale e cognitiva?

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