Annalisa Caloffi: «La PA torna attrattiva, protagonista nel cambiamento delle città»

“Più che un posto fisso, un posto figo!”: è il claim della campagna lanciata dal governo nelle scorse settimane che vuole ribaltare i luoghi comuni e i pregiudizi sul lavoro nel settore pubblico. La pubblica amministrazione attraversa un momento di cambiamento: l’età media del personale è alta, 50,7 anni, e molti dipendenti sono prossimi alla pensione. Crescono i contratti a tempo determinato, la formazione è poca e gli stipendi privati crescono più in fretta di quelli pubblici, li raggiungono e li superano.

Tutto questo mentre il Pnrr immette un fiume di risorse in un settore che viene da anni di blocco del turn over, risorse che necessitano di forze fresche per essere gestite. È quanto emerge dal report “Lavoro Pubblico 2023” di FPA Data Insight.

Ne parliamo con Annalisa Caloffi, professore associato di economia applicata del Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa dell’Università degli Studi di Firenze e ospite all’ultima edizione di Cityvision a Padova, dove è intervenuta proprio sul tema delle risorse umane nella PA.

Quali sono le principali sfide che la pubblica amministrazione affronta nel processo di recruiting e cosa dovrebbe fare, secondo lei, per recuperare l’attrattività verso i giovani?

«Io credo che le cose stiano cambiando. Sono utili i fondi del Pnrr, le riforme che sono richieste con il nuovo ciclo di programmazione europea stanno dando una forte spinta per cambiare la struttura. C’è una riforma che ci è stata richiesta e ci sono delle linee guida che sono state già definite. Per recuperare l’attrattività della pubblica amministrazione c’è lavoro da fare ma è un cambiamento già in atto. Le pubbliche amministrazioni stanno cambiando e devono cambiare: si trovano a dover erogare ai cittadini nuovi tipi di servizi e, in qualche modo, devono attrezzarsi».

Che parere hanno i suoi studenti del pubblico impiego?

«Questo cambiamento rende anche più attraente il lavoro della pubblica amministrazione: io sono presidente di un corso di laurea in Scienze dell’Economia e uno degli sbocchi professionali che noi esplicitamente riconosciamo è proprio il lavoro nella pubblica amministrazione. I miei studenti oggi sono consapevoli del fatto che questa potrebbe essere un “employer” interessante non perché offre il lavoro sicuro, la sicurezza del domani e la stabilità, ma perché oggi è una parte interessante del cambiamento delle città. Iniziano a partecipare come parte attiva anche dentro lo staff della pubblica amministrazione, che in grande parte deve gestire questo cambiamento».

C’è stato un cambiamento nelle competenze e nelle figure necessarie nella pubblica amministrazione rispetto a qualche anno fa? Ci sono aree particolari in cui c’è bisogno di nuove competenze?

«Le competenze sono tante. Si parla spesso di competenze trasversali che riguardano la lettura e l’interpretazione dei dati. Sono competenze importanti perché per le parti più tecnologiche dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione si può ricorrere all’esternalizzazione per ottenere competenze specialistiche che magari servono per creare un servizio. Però, come sappiamo, una volta che i servizi pubblici sono messi in piedi forniscono quotidianamente flussi di informazioni alla pubblica amministrazione e, quest’ultima, deve essere in grado di leggere, interpretare e utilizzare i dati. Queste sono capacità che non devono essere esternalizzate ma devono rimanere dentro la pubblica amministrazione perché i dati, la lettura e l’interpretazione dei dati stessi, devono servire per elaborare un domani nuovi servizi e nuove politiche».

Qual è il ruolo delle nuove tecnologie nella pubblica amministrazione e per i cittadini che usufruiscono di determinati servizi?

«Sono il medium fondamentale. Le tecnologie digitali sono quelle che consentono ai cittadini di avere più rapidamente, in maniera più economica e più efficiente i servizi. Sono dei mezzi che utilizziamo e non solo la pubblica amministrazione ne fa uso. Tutti noi le usiamo ogni giorno nei rispettivi lavori che facciamo: è qualcosa di pervasivo, trasversale ma nonostante ciò non lo vedo come il cuore delle competenze. Il punto è sapere usare degli strumenti».

Rimanendo nel settore pubblico, una notizia recente ha riportato che in tutte le regioni tranne Sardegna, Valle D’Aosta e Molise, in caso di parità in graduatoria nel concorso per i dirigenti scolastici, sarà data priorità al candidato di genere maschile, per ottenere un riequilibrio di genere. Lei cosa ne pensa?

«Io credo che il riequilibrio di genere sia una cosa importante e da perseguire in tutti i settori. Sono sicuramente favorevole alla presenza del riequilibrio di genere anche quando non riguarda le donne».

In un mondo nuovo in cui pubblico e privato iniziano a dialogare per sviluppare gli strumenti per le nuove città intelligenti, uno dei temi affrontati anche a Cityvision, quali forme di dialogo o partnership tra pubblico e privato si stanno creando? 

«La ricerca, anche internazionale, sulle partnership pubblico-private ci dice che è difficile identificare una forma istituzionale migliore delle altre in termini assoluti, dipende molto dal contesto territoriale, dall’ambito specifico in cui la partnership deve essere creata. Dipende molto dalle caratteristiche. Diciamo che ci sono tante possibilità istituzionali per facilitare questo dialogo: alcune più formalizzate, altre meno formalizzate e sono utili entrambe in momenti diversi. Ci sono veramente molti modi, alcuni dei quali non sono nemmeno delle vere e proprie scatole istituzionali. Ad esempio, e lo si usa moltissimo anche in molte città europee, il crowdsourcing. Una forma di dialogo pubblico-privato che non riguarda una scatola istituzionale ben definita ma che può essere utilmente utilizzata per fare alcuni test».

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