Economia digitale: cosa resta del lavoro? Da Trento le risposte di Richard Freeman, Marco Magnani e Robert Shiller

Diciottomila miliardi di dollari. È l’impatto stimato dello skill gap sull’economia. Ecco quanto pesano le competenze che non abbiamo. E il digitale è il principale indagato. Big data, cloud, robotica, machine learning, intelligenza artificiale: il lavoro del futuro è tutto – o per la maggior parte – qui, ma ancora fatichiamo ad accorgercene. Il risultato? Rincorriamo il futuro, anziché guidarlo.

Al Festival dell’Economia di Trento 2023, il mondo del lavoro è uno dei grandi temi e l’impatto del digitale è stato oggetto di confronto tra esperti di tutto il mondo: da Richard Freeman, professore di Economia all’Università di Harvard (qui il suo intervento da rivedere in video) a Marco Magnani, docente di International Economics all’Università Cattolica e Università Luiss Guido Carli (video qui) e fino a Robert Shiller, Premio Nobel per l’Economia 2013 (qui il suo intervento).

Impigriti dai robot

Se per Freeman, l’Intelligenza Artificiale è il quinto cavaliere dell’Apocalisse che, dopo la pandemia, il riscaldamento globale, la guerra in Ucraina e le crisi economiche e finanziarie, metterà a dura prova la sopravvivenza del mondo così come l’abbiamo conosciuto fino a oggi, per Magnani la chiave sta nel non lasciarsi prendere dall’ozio. O meglio: «Più che l’avanzare delle macchine – chiarisce il docente, autore di “Fatti non foste a viver come robot” – sono preoccupato dall’arretramento dell’uomo causato dalla pigrizia». E il pensiero corre subito al noto saggio di Vittorino Andreoli, “L’uomo con il cervello in tasca”, che denuncia come gli smartphone, oggi nuove protesi di corpo e mente, stiano generando uno sdoppiamento e un impoverimento della nostra capacità di ragionare.

Come uscirne? Scommettendo sulla formazione, perché il talento da solo non basta. Servono studio e aggiornamento continui. Il primo, è un piano che attiene principalmente alla scuola e alle università: a loro la sfida di essere realmente al passo con i tempi, rispetto ai contenuti e alle modalità stesse di insegnamento. Il secondo, invece, è la sfida delle aziende, che devono riuscire a proporre modalità di formazione sempre nuove e personalizzate. Entrambe le dimensioni, però, presuppongono una responsabilità umana. Sta a noi in quanto individui decidere di attivarci per costruire le competenze che ci consentiranno di trovare nuovo spazio nel mondo del lavoro.

Gli esclusi dal digitale, schiavi moderni

«Le categorie fragili sono, e saranno sempre di più, quelle che non stanno al passo con il digitale. Chi non investirà in queste competenze, finirà per occuparsi di “in person services”, ovvero di tutti quei lavori a bassa qualificazione che servono per semplificare la vita a chi invece lavora con le tecnologie. Sono – spiega Magnani – gli schiavi moderni che lavoreranno per gli oligarchi tecnologici mentre la classe media scomparirà definitivamente».

Uno scenario che è facile intravedere già oggi e che viene alimentato da innovazioni sempre più frequenti e pervasive, il cui effetto moltiplicatore crea accelerazioni senza precedenti. Davanti a noi, grandi cambiamenti. Rischiosi, certo, ma anche ricchi di nuove opportunità. Le professioni intellettuali, infatti, sono sempre più mobili. E questo pone i territori di confine e periferici, ma con una migliore qualità di vita rispetto alle grandi metropoli, in una condizione di vantaggio (tema al centro della ricerca “Ritorni e partenze: i talenti e il Nordest” realizzata da Luca Romano per GoodJob! e che si può scaricare qui, ndr).

Purché si investa in innovazione, tecnologie e infrastrutture digitali che possono consentire al nuovo capitale umano di lavorare ovunque e in qualunque momento. Non solo, a ciò si aggiungono le DSO, Decentralized Autonomous Organization: nuove forme di organizzazioni decentralizzate che, rapportate al tema dei talenti, comportano la messa in rete di competenze più che di “dipendenze”. Un modello fluido che prescinde dalle aziende in quanto tali.

Shiller invita a non temere l’innovazione

Dunque, se è vero che, come ricorda il Nobel Robert Shiller, le nuove tecnologie hanno sempre spaventato l’uomo, dall’antica Grecia ai primi anni del ‘900, è altrettanto innegabile che indossare le lenti del rifiuto non ci aiuterà. «Se non ne avremo paura e non ne faremo una narrazione negativa o di minaccia per il nostro status – assicura Shiller – le nuove tecnologie saranno le nostre principali alleate per il futuro».

Nella foto, da sinistra: Marco Magnani, Marco Ferrando, Richard Freeman al Festival dell’economia di Trento

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