Il mentoring: un'equazione che si basa sull'ascolto

Ogni percorso è costellato da fasi di incertezza, stasi, scelta, cambiamento. In questi momenti, la figura di un mentore può fare la differenza per superare sfide difficili, sviluppare nuove competenze e raggiungere i propri obiettivi.

Ma cosa si intende esattamente per mentoring?

Forse non tutti sanno che la parola mentore è un’eredità della mitologia greca. Il personaggio di Mentore, citato nell’Odissea di Omero, è la guida fidata che aiuta Telemaco, figlio dell’eroe Ulisse, a crescere e maturare durante l’assenza del padre, partito per la grande spedizione contro i troiani. La dea Atena, protettrice di Ulisse, appare spesso sotto le spoglie di Mentore, per accompagnare Telemaco e aiutare l’eroe nella lotta finale contro i pretendenti che insidiano il suo trono.

Questo racconto mitico ci aiuta a comprendere meglio la natura della relazione tra mentore e mentee (persona con minore esperienza), che si basa sulla fiducia e sulla reciproca collaborazione. Il mentore, attraverso l’ascolto attivo e il dialogo, aiuta il mentee a:

  • prendere decisioni con maggiore consapevolezza di sé e una più ampia conoscenza del contesto di riferimento;
  • analizzare le proprie priorità ed inclinazioni e il loro impatto sulle scelte accademiche e professionali;
  • individuare il percorso più adatto e coerente con le proprie aspirazioni e attitudini;
  • colmare le proprie lacune, ampliando e/o costruendo competenze.

Un delicato equilibrio

Il rapporto di mentoring è regolato da un delicato equilibrio tra due mondi, quello del mentore e del mentee, che si sovrappongono per un certo periodo di tempo e con un determinato livello di impegno. In termini matematici, si può parlare di una vera e propria equazione, come illustrato da Harvard Business Review: il primo termine dell’equazione riguarda la motivazione del mentee e la sua distanza dagli obiettivi che intende raggiungere; la seconda parte dell’equazione si riferisce al mentore e comprende il suo bagaglio di esperienza rapportato al mentee, la rilevanza di tale percorso rispetto agli obiettivi del mentee e l’impegno necessario da parte del mntore per colmare le lacune ed aiutare al meglio il mentee.

Ad esempio, se il mentee è molto motivato e la distanza dai suoi obiettivi è breve, non è necessario che il mentore abbia un’esperienza di gran lunga superiore, condizione che invece si rivela imprescindibile nella situazione opposta in cui il mentee ha bisogno di stimoli maggiori per raggiungere una meta ancora lontana. Inoltre, è importante che l’esperienza del mentore sia allineata e pertinente agli obiettivi del mentee: un mentore con un percorso in un settore diverso da quello a cui il mentee aspira è chiamato ad uno sforzo maggiore per colmare questa lacuna.

Appare evidente come la relazione tra queste due figure non possa prescindere da un primo ingrediente fondamentale: l’ascolto attivo.

Cos’è l’ascolto attivo e come si mette in pratica?

Può sembrare un paradosso ma la parte principale del processo comunicativo è quella in cui non si parla, bensì si ascolta. L’ascolto ci permette di comprendere i bisogni, i desideri e le prospettive dell’altro, di empatizzare con le sue emozioni, di creare connessioni profonde, collaborazioni efficaci e relazioni significative in tutti gli ambiti della vita.

Si tratta però di un’attività impegnativa che richiede attenzione, concentrazione e partecipazione. Julian Treasure, esperto di suoni e di comunicazione nonché apprezzato oratore che ha preso parte a diversi TED Talk, ha delineato per l’ascolto attivo un processo in 4 fasi, espresso dall’acronimo RASA. Il termine RASA significa “succo, essenza” in sanscrito, l’antica lingua in cui sono redatti i testi sacri indiani. Ciascuna lettera identifica una specifica fase:

  • Receive (Ricevere): prestare attenzione alla persona che sta parlando;
  • Appreciate (Apprezzare): dimostrare considerazione per ciò che viene detto, ad esempio annuendo con la testa o fornendo un feedback;
  • Summarize (Riassumere): ricapitolare i punti chiave della conversazione, in particolare se questa verte su temi tecnici;
  • Ask (Chiedere): porre domande, dimostrando attivamente il proprio coinvolgimento.

L’ascolto è un vero e proprio dono che possiamo rivolgere ad un altro essere umano, come ci insegna la filosofia taoista, secondo cui “Parlare è il modo di esprimere se stesso agli altri. Ascoltare è il modo di accogliere gli altri in se stesso” (Wen Tzu).

Come si passa dall’ascolto alle parole?

Se l’ascolto è il primo ingrediente cruciale della relazione tra mentore e mentee, la mediazione è il secondo elemento chiave per instaurare un dialogo ragionevole, ovvero improntato a un confronto autentico e ad una discussione argomentativa, capace di produrre nuove idee e conoscenze per entrambe le parti che, al termine dello scambio, si ritroveranno cambiate.

Con mediazione si intende dunque quella modalità di interazione atta a favorire la risoluzione di problemi, abilitando la ristrutturazione e la flessibilità cognitiva. La ristrutturazione cognitiva si riferisce alla riformulazione del proprio pensiero ed è utile ad acquisire una nuova prospettiva, mentre la flessibilità riguarda la capacità di pensare in modo creativo e fuori dagli schemi per identificare soluzioni innovative.

Tradotta nell’attività di mentoring, la mediazione consiste in:

  • accogliere la narrativa del mentee, secondo le tecniche dell’ascolto attivo che implicano una sospensione del giudizio e la creazione di una connessione anche attraverso la comunicazione non verbale (per esempio sguardo, mimica, gesti, tono, postura);
  • organizzare in maniera ordinata gli stimoli che provengono dal mentee e fornirne di nuovi (ad esempio condividere fonti autorevoli e letture specifiche su un argomento di interesse del mentee);
  • portare significato e valore alla conversazione, senza sbilanciarsi nel raccontare solo il proprio vissuto o il proprio sentire. Un esempio di frase efficace da impiegare è: “Da quello che mi riporti mi sembra di capire che questo corso possa orientarti di più verso questo tipo di carriera” rispetto a una formulazione soggettiva che è bene evitare (“Per la mia esperienza, ti consiglio questa scelta. Se seguirai questo corso otterrai quel lavoro”);
  • rivolgere quesiti aperti, volti all’approfondimento, alla condivisione di aspettative, bisogni ed emozioni (ad esempio “Puoi spiegarmi meglio cosa intendi?”, “Cosa ti aspetti da questo percorso?”, “Come ti senti adesso?”);
  • riesporre e sintetizzare quanto ascoltato, chiedendo conferma (ad esempio “Riassumendo, le differenze tra una carriera in consulenza e una in azienda sono… Ti torna?”);
  • identificare azioni concrete, responsabilità e prossimi passi.

Come afferma il primo dei 5 assiomi della comunicazione della rinomata scuola di Palo Alto – che ha sviluppato teorie destinate ad avere un impatto significativo sulla comunicazione, la psicologia e la terapia – è impossibile non comunicare, ma è possibile che la comunicazione avvenga in modo inconscio e non efficace.

In un rapporto di mentoring ciò assume una particolare rilevanza se si considera che la scelta stessa delle parole è la prima azione destinata ad innescarne altre, capaci di influenzare comportamenti e decisioni in momenti delicati del percorso di crescita di un individuo. Pensare con cura alle parole significa agire con responsabilità.

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