Skills first, la rivoluzione delle competenze. Come assumere andando oltre il cv

Le competenze vengono prima. Prima del titolo di laurea, prima dell’anzianità professionale, prima di qualsiasi altro attestato. È ciò che sappiamo fare e l’impegno che investiamo nel continuare a migliorarci, a renderci appetibili per un’azienda. Si chiama Skills First e per molti è una vera propria rivoluzione nel mondo del lavoro. Parliamo di un approccio che sta cambiando radicalmente il modo di trovare talenti sul mercato, di assumerli e di conquistarli nel tempo. È, a tutti gli effetti, la risposta alla carenza di candidati lamentata dalle aziende, ed è, al contempo, la carta che le organizzazioni più evolute stanno giocando per dimostrarsi interessanti agli occhi delle nuove generazioni.

Allargare il bacino di candidati

Secondo LinkedIn, il 75% dei professionisti del recruiting si aspetta che l’assunzione basata sulle competenze possa essere la priorità per la propria azienda nei prossimi 18 mesi. Secondo i dati del rapporto ‘Skills-First: Reimagining the Labour Market and Breaking Down Barriers’ (fonte LinkedIn Economic Graph), un approccio che mette al centro le competenze dei candidati potrebbe ampliare notevolmente il bacino dei talenti a disposizione per ogni posizione. In Italia crescerebbero addirittura di 11 volte rispetto ai numeri attuali.

Alcune professioni ne beneficerebbero in modo particolare: nel nostro Paese, la ricerca per un digital marketing manager “skills based” porterebbe il bacino di potenziali candidati a essere 26 volte maggiore rispetto a quello attuale. Molte competenze associate a questo lavoro sono infatti rintracciabili anche in altre posizioni. Ben 35 titoli professionali, spiega LinkedIn, condividono competenze chiave con i digital marketing manager: pensiamo al consulente SEO ma anche al retail business manager.

I vantaggi per donne e giovani

Non solo, questo approccio democratizzerebbe l’accesso al lavoro. Le donne, in particolare, vedrebbero aumentare la propria presenza all’interno dei processi di selezione, soprattutto negli ambiti professionali in cui sono al momento sottorappresentate. Un discorso analogo avverrebbe dal punto di vista generazionale, a vantaggio dei più giovani. Sempre in riferimento ai dati italiani, con un approccio basato sulle competenze il numero medio dei potenziali candidati per un posto di lavoro crescerebbe di 10,2 volte tra gli appartenenti alla Generazione X, di 10,7 volte tra i Millennials e di 11,3 volte nella Gen Z.

Come si applica l’approccio skills first

Come si applica una strategia skills first in fase di recruiting? In un approccio tradizionale, il processo di assunzione avviene cercando parole chiave all’interno del curriculum vitae, legate ad esempio all’istruzione, al titolo di studio o al percorso lavorativo. Tuttavia, questo approccio può essere fuorviante. Secondo l’organizzazione no-profit Opportunity@Work, ad esempio, la metà della forza lavoro statunitense ha acquisito competenze non attraverso l’università, ma con percorsi alternativi.

Con il nuovo modello, si valuta direttamente ciò che le persone sanno o non sanno fare. Ovviamente, le offerte di lavoro devono prevedere una descrizione legata alle skills più che ai titoli richiesti. E i recruiter, devono proseguire nella selezione sulla base di questo principio, dunque sottoponendo i candidati a test di valutazione delle competenze.

Le nuove competenze vanno sviluppate anche dopo l’assunzione

Attenzione, però, perché l’approccio skills first non deve esaurirsi solo in fase di assunzione. Anzi, i maggiori vantaggi si hanno continuando a investire nel tempo. Anche se qui spunta più di una nota dolente: secondo l’indagine di GoodHabitz, l’84% della forza lavoro globale identifica nella mancanza di opportunità di sviluppo personale un motivo per lasciare il posto di lavoro. La stessa ricerca attesta che solo la metà delle persone si sente incoraggiata a sviluppare nuove competenze dal proprio o dalla propria manager.

Inoltre, spesso le offerte formative sono ritenute inadeguate o orientate solo a ciò che interessa l’azienda, senza tenere in considerazione gli interessi dei singoli. La conseguenza è chiara: abbandono silenzioso o, peggio, dimissioni. Alle imprese si suggerisce, invece, di investire di più nel miglioramento dei talenti che sono già parte della propria squadra, proponendo attività formative stimolanti e percorsi di sviluppo personale da seguire durante l’orario di lavoro.

Formazione digitale, il modello delle piattaforme

Secondo Luca Mastella, fondatore di Learnn, piattaforma streaming per lo sviluppo di competenze digitali che riunisce 110mila utenti totali, 35mila abbonamenti e clienti aziendali come RDS, Decathlon, Treatwell, xFarm, Will Media, il mondo del lavoro evolve insieme alle innovazioni tecnologiche e lascia indietro chi non rimane aggiornato. La formazione dovrebbe quindi modellarsi attraverso un’offerta di corsi innovativi, fruibili con un unico abbonamento, da app e da desktop.

«È necessario che le modalità di erogazione della formazione siano quanto più simili agli strumenti con cui ogni giorno ci interfacciamo, penso a Netflix o Spotify – afferma Mastella -. Se i percorsi sono davvero accessibili e fruibili, l’aggiornamento professionale diventa un passatempo piacevole e allo stesso tempo utile».

Quiet hiring, generare opportunità di carriera interne

Con un percorso di formazione interna adeguato, inoltre, l’azienda potrà attivare strategie di “quiet hiring” ovvero “assunzioni silenziose”, offrendo opportunità di carriera interne basate sul potenziale del proprio staff. Le aziende più piccole sono particolarmente adatte a implementare assunzioni incentrate sulle competenze, perché più agili e meno ingessate. E con un modello simile, anche la cultura e il clima ambientale ne beneficeranno: il 58% dei dipendenti afferma infatti che la mancanza di competenze adeguate influisce negativamente sul team e sulla collaborazione, mentre avere la possibilità di accrescere la propria formazione, fa migliorare le doti di comunicazione, leadership e gestione del tempo.

Skills first, dunque, vuol dire soprattutto questo: applicare le leve della crescita personale al mondo del lavoro. Una strategia “win win” per i singoli e per le aziende.

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