Meno smart working, più smart caring: gli algoritmi "buoni" e il rischio boreout al centro del Wellbeing Happiness Forum

Più di 800 partecipanti, più di 120 speaker, più di 50 tra community e media partner e oltre 20 aziende: si è chiusa con questi numeri la prima edizione del Wellbeing Happiness Forum, il primo evento italiano nato per ripensare al lavoro e per mettere al centro la felicità e il benessere dei dipendenti, che si è svolto a Milano il 28 e 29 ottobre, promosso da Ecosistema Formazione Italia (EFI) e OMM Business.

«Il successo di questa prima edizione del Wellbeing Happiness Forum – dichiarano Kevin Giorgis e Stefano Marchese di Ecosistema Formazione Italia (EFI) – conferma che la felicità e il benessere non sono più un optional, ma il motore fondamentale e imprescindibile per la sostenibilità a lungo termine e la prosperità del business moderno. Investire nel benessere è, oggi, l’asset competitivo chiave che nessuna azienda può permettersi di ignorare. Stiamo già lavorando all’edizione 2026 perché siamo sicuri che, nei prossimi mesi, questo tema sarà sempre più centrale».

«Il benessere – aggiunge Silvia Pagliuca, giornalista e co-presentatrice del Wellbeing Happiness Forum – è la nuova frontiera di un’economia che rimette al centro l’umanità, la cura e le relazioni autentiche, anche e soprattutto nell’era dell’intelligenza artificiale. Le aziende più lungimiranti l’hanno compreso e stanno già costruendo strategie di benessere integrato al business».

«Il wellbeing – conclude Filippo Poletti, giornalista e co-presentatore – non è un benefit, ma la leva che le aziende hanno a disposizione per migliorare la vita dei collaboratori e prosperare. Come dimostrano le ricerche nazionali, più cresce il benessere in azienda e più crescono i risultati di business. Sotto questo aspetto occuparsi di wellbeing non è buonismo, ma sano realismo: un’azienda che investe nel benessere dei dipendenti guarda al suo domani».

Un approccio integrato e di lungo corso

Per ottenere il benessere in azienda, è emerso dal Forum, serve un approccio integrato e di lungo corso. I dati delle ricerche Happiness at work 2025 di OMM Business e quelli della Fondazione Patrizio Paoletti confermano in maniera decisa la necessità di una trasformazione radicale all’interno delle aziende. Se è vero, infatti, che i lavoratori ormai sanno come essere felici anche in ufficio e attribuiscono un’importanza cruciale ai valori aziendali, si riscontrano notevoli difficoltà nella relazione con gli altri e nel senso continuo di urgenza che erode il benessere quotidiano. Ed è su questo che bisogna lavorare.

Occorrono una presa di posizione netta e un’azione concreta perché, solo in Europa, 1 adulto su 5 soffre di ansia o depressione e, a livello globale, si perdono circa 12 miliardi di giornate lavorative ogni anno per ansia e depressione, con un costo per l’economia di 1.000 miliardi di dollari. Tutelare il benessere dei dipendenti rappresenta, dunque, il vero vantaggio competitivo: le aziende che hanno investito nel benessere mentale hanno registrato una maggiore fidelizzazione, meno giorni di malattia e un aumento della produttività fino al 40-60%.

Ma quali sono i passi per mettere al centro la salute e la felicità dei lavoratori? Il primo passo è certamente insegnare a cambiare prospettiva e osservare le difficoltà da un punto di vista più ampio; il secondo, invece, è legato al concetto “dalla testa al corpo”, ossia evitare di ignorare i segnali del proprio corpo e provare a non affidarsi soltanto al pensiero razionale; l’ultimo – non meno importante – è promuovere consapevolezza e attenzione perché il multitasking è un mito che genera un elevato costo conoscitivo e alti livelli di fatica e stress che, a lungo andare, possono creare problemi.

Il rischio boreout

Un altro elemento emerso nei due giorni del Forum è il rischio di boreout che erode il capitale umano. L’attenzione proattiva e strategica al wellbeing previene infatti non solo il noto rischio di esaurimento professionale (burnout), ma argina un nuovo pericolo silenzioso e ancora più insidioso (il boreout) che porta alla perdita del potenziale delle migliori risorse, minando inevitabilmente anche la produttività complessiva, con impatti negativi sul business.

L’impatto dell’intelligenza artificiale

Si è parlato anche dell’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro. Secondo una recente ricerca pubblicata su ScienceDirect (2025), l’AI può migliorare il benessere lavorativo non perché “fa tutto al posto nostro”, ma perché riduce la fatica cognitiva. In pratica, toglie di mezzo le attività ripetitive e lascia spazio a ciò che conta davvero: creatività, collaborazione, pensiero critico.

Inoltre un report del McKinsey Global Institute segnala che i dipendenti che usano quotidianamente strumenti basati su AI riportano livelli di soddisfazione e motivazione più alti, soprattutto dove la tecnologia è percepita come un supporto, non come un controllo. Nel forum è emerso poi che esistono piattaforme che, in modo etico e rispettoso della privacy, analizzano i micro-segnali di stress nei team: linguaggio, tono delle email, feedback ricorrenti. L’obiettivo non è sorvegliare, ma prevenire: capire se un reparto è sotto pressione, se qualcuno ha bisogno di supporto o se un carico va redistribuito.

Uno studio condotto da Workplace Options e Wellbeing.ai mostra che questi strumenti, quando integrati in politiche aziendali trasparenti, riducano i casi di burn-out del 20% e aumentano la fiducia nei manager. Non sostituiscono l’empatia umana, ma la amplificano con dati oggettivi.

«L’AI – precisa Stefano Marchese, vice presidente di EFI – non è solo una leva di produttività, ma uno strumento per umanizzare il lavoro. E, come abbiamo visto durante il Wellbeing Happiness Forum, il benessere organizzativo del futuro sarà proprio questo: meno smart working e più smart caring. Gli algoritmi, infatti, sono al servizio delle persone ma non potranno mai sostituirle, le guideranno ma non potranno mai comandarle. Le aziende, in questo contesto, dovranno costruire la fiducia con i loro dipendenti anche su questi aspetti che, nel corso del tempo, saranno sempre più cruciali. Non dimentichiamo, infatti, che la fiducia è la vera valuta del futuro».

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