Fine dello smart working agevolato: cosa cambia con il ritorno al pre-pandemia

Durante il turbolento periodo della pandemia da Covid-19, il governo italiano ha introdotto diverse misure per affrontare le sfide lavorative poste dalla crisi sanitaria. Tra queste c’era il “lavoro agile semplificato”, che consentiva ai datori di lavoro di attivare lo smart working per i dipendenti senza richiedere un accordo specifico tra le parti.

Dopo la pandemia, l’agevolazione dello smart working è stata mantenuta solo per alcune categorie di lavoratori privati: coloro con figli di età inferiore ai 14 anni e i lavoratori fragili. Tuttavia, a partire da aprile 2024, queste categorie non possono più usufruire di tale agevolazione, poiché il governo ha deciso di non prorogare la misura oltre il 31 marzo.

Ora, per lavorare da remoto, i dipendenti devono stipulare un accordo scritto con il datore di lavoro, come prescritto dalla Legge 81/2017. Questo accordo deve specificare vari aspetti, tra cui la durata, i luoghi esclusi per lo svolgimento dello smart working, le modalità di utilizzo degli strumenti di lavoro, i tempi di riposo e le modalità di controllo della prestazione fuori dai locali aziendali.

Le voci critiche e il parere della ministra Calderone

Non mancano le voci critiche. Natale Di Cola, segretario della Cgil di Roma e del Lazio, afferma che sullo smart working «si è persa un’occasione. Con il ritorno alla normativa del 2017, a Roma e nel Lazio, oltre 300 mila lavoratrici e lavoratori, che lavorano in smart tra i 2 e i 3 giorni a settimana, rischiano di veder ridotte le giornate in smart o di tornare tutti i giorni in presenza. Dovremo rafforzare l’impegno per contrattare collettivamente lo smart working perché la vecchia normativa prevede il ricorso agli accordi individuali tra dipendente e azienda, che non ovunque si riescono a fare».

Daniela Spiganti della segreteria della Cgil di Siena si è detta preoccupata in quanto la misura, a suo dire, dava un aiuto alle donne a conciliare la propria vita con la professione. Inoltre, Spiganti sottolinea come c’è il rischio che le categorie fragili dopo anni di smart working «avranno difficoltà a muoversi nei nuovi ambienti».

Per il senatore del Movimento 5 Stelle Orfeo Mazzella, impegnato nel riconoscimento del diritto allo smart working per i lavoratori fragili attraverso un suo disegno legge, mantenere lo smart working agevolato è «una questione di civiltà, soprattutto per chi è costretto a scegliere se continuare a lavorare o rischiare di peggiorare la propria salute, o mettere a rischio la propria vita».

La ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha dichiarato, come riportato da Il Sole 24 Ore, che l’attuale quadro normativo è superato e che sia necessario «intervenire affinché il modello ibrido possa trovare una sua connotazione e diventare uno strumento di lavoro continuo e costante per tutte le aziende pubbliche e private».

Gli effetti positivi dello smart working

Secondo quanto riportato dal Politecnico di Milano nel 2023, circa 3,6 milioni di dipendenti hanno adottato il lavoro da remoto, evidenziando un aumento rispetto agli anni precedenti alla pandemia. Questo fatto sottolinea l’importanza crescente dello smart working come opzione essenziale per molti lavoratori, aiutando a conciliare i tempi di vita e lavoro.

L’implementazione dello smart working ha avuto implicazioni significative anche sull’occupazione femminile, aumentando le opportunità di impiego per le donne e segnando una differenza di tendenza rispetto al periodo pandemico, in cui queste ultime rappresentavano il 55% dei lavoratori ad aver perso il lavoro.

Inoltre, come approfondito in un nostro articolo, nelle aziende che adottano il lavoro da remoto si è osservato un aumento della produttività e una significativa riduzione dello stress tra i dipendenti. In aggiunta va sottolineato l’impatto positivo sul nostro ambiente: la pratica dello smart working ha portato a una significativa riduzione delle emissioni di CO2, grazie alla diminuzione degli spostamenti.

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