Cinque tendenze del mondo del lavoro nel 2023

Il futuro del lavoro sarà determinato dalla maturazione di alcuni cambiamenti di cui la pandemia da Covid 19 ha fatto da innesco, ma che erano pronti per essere adottati. Grazie all’utilizzo massivo delle tecnologie e il ricorso alle prestazioni da remoto, l’attenzione delle imprese si è spostata dalla quantità alla qualità. È questo probabilmente il passaggio culturale determinante che vedrà l’affermazione definitiva nel 2023 da cui derivano tutti gli altri. Lo sostiene il libro bianco di Iwg – uno dei principali gruppi globali di spazi di lavoro flessibili – che riflette sui trend del mondo del lavoro per il 2023. Un mondo già fortemente influenzato dall’avvento del lavoro ibrido e dove ci si possono aspettare ulteriori cambiamenti determinati dall’innovazione e dalla tecnologia, oltre che da nuove correnti di pensiero legate ai temi della sostenibilità, della produttività e del recruitment.

1. Contano i risultati

Secondo lo studio nel futuro a breve termine i risultati contano più delle ore di lavoro. Nel mondo post Covid la mentalità delle aziende sta cambiando. Ci si focalizza sui risultati e sul raggiungimento degli obiettivi piuttosto che sulle ore trascorse al lavoro. Una situazione che ha portato anche a sperimentare nuovi modelli organizzativi, tra cui la settimana di 4 giorni lavorativi. Secondo un sondaggio di Iwg, il 55% dei professionisti della generazione Z si aspetta addirittura che possa diventare la norma nei prossimi anni. ”Lavorare da dovunque si voglia”, diventa una policy sempre più diffusa. Si stima che i nomadi digitali nel mondo siano già più di 35 milioni. Un numero destinato a crescere se si considera che sono sempre più le aziende che stanno offrendo questa policy e che secondo gli ultimi studi di IWG, due terzi dei lavoratori ritiene che poter scegliere dove lavorare possa migliorare le performance.

2. Il digitale cambia la cultura aziendale

Le aziende non vedono più la trasformazione digitale esclusivamente come una fonte di innovazione. È diventato un requisito per la continuità aziendale, consentendo ai team di lavorare ovunque e alle organizzazioni di adattarsi rapidamente di fronte a una crisi. del resto, si legge nella ricerca, la “trasformazione digitale è molto di più della condivisione delle risorse in cloud. Oggi abbiamo capacità, strumenti e tecnologie in grado di archiviare, raccogliere, analizzare una ingente quantità di dati di vario genere da cui attingere per fare scelte sempre più consapevoli e slegate alla soggettività della singola interpretazione”.

La trasformazione digitale chiama in causa molte varianti e ridefinisce la vita aziendale nel lungo termine. L’esperienza con il consumatore/cliente/cittadino cambia e vive molto di più on-line con la conseguente necessità di raccogliere dati e informazioni per comprendere i comportamenti, le scelte e le azioni.

3. La metrica della produttività non è solo l’efficienza

Con la pandemia sono emerse le diverse esigenze dei lavoratori i quali hanno cominciato a dire ad alta voce che la retribuzione non è data esclusivamente dalla contropartita prestazione – stipendio. Entrano in gioco benessere, fiducia, senso di appartenenza, possibilità di carriera, equilibrio tra vita lavorativa e privata, soddisfazione personale e molti altri elementi. Visto dalla parte dell’azienda l’efficienza non può essere l’indicatore per misurare la produttività. Per lo meno non l’unico e va affiancato dai dati citati sopra con la consapevolezza che saranno sempre più “cardini del successo e catalizzatori di creatività, innovazione e resilienza”. Non è un caso se i dati raccolti da Gartner sulla produttività confermano questa tendenza:

  • L’82% dei dipendenti concorda sull’importanza che la propria organizzazione li veda come una persona, non solo come un dipendente.
  • Il 55% dei dipendenti ha prestazioni elevate quando viene fornita una flessibilità radicale su dove, quando e con chi lavorare. Per contro, solo il 36% di chi opera in ufficio con orario tradizionale ottiene prestazioni simili.
  • Il 96% dei leader delle risorse umane è più preoccupato per il benessere dei dipendenti oggi rispetto a prima della pandemia.
  • Il 55% dei dipendenti afferma che la possibilità o meno di lavorare in modo flessibile influirà sulla decisione di tenere o lasciare il posto di lavoro.

4. Il lavoro sotto casa

Le piccole città diventano sempre più attrattive. I sondaggi evidenziano sempre più quanto le persone vogliano lavorare vicino a dove vivono. Una recentissima indagine di Iwg sulla generazione Z (che entro il 2025 rappresenterà più di un quarto della forza lavoro mondiale) rivela che l’85% vuole lavorare vicino a casa. Allo stesso tempo le aziende sono sempre più propense a optare per modelli ‘a raggiera’, ovvero per sedi centrali più contenute affiancate da più sedi satellite, ubicate in prossimità delle aree di residenza della forza lavoro. Gli uffici iniziano a farsi largo anche nel metaverso. Alcune organizzazioni stanno già iniziando a sviluppare i propri spazi virtuali dove organizzare sessioni di training, incontri, eventi ma anche solo occasioni di confronto. Alcuni sono accessibili da laptop, altri anche tramite tecnologia VR. Gli spazi di lavoro diventano sempre più sostenibili. La sostenibilità è in cima all’agenda delle aziende di tutto il mondo. Chi è proprietario di uno spazio di lavoro si sta adoperando per apportare le migliorie necessarie a renderlo il più sostenibile possibile, chi deve sottoscrivere un affitto opta per soluzioni con il minor impatto ambientale. L’intelligenza artificiale e l’analisi dei dati saranno centrali per lo sviluppo di spazi funzionali e a impatto ridotto.

5. Un senso oltre il profitto

Un terzo dei lavoratori della generazione Z lascerebbe il lavoro se i valori aziendali non rispecchiassero i propri. La responsabilità ambientale e sociale, in particolare, è centrale per questi professionisti. Sembrano pensarla allo stesso modo anche gli investitori finanziari: gli asset Esg sono cresciuti del 30% negli ultimi 5 anni. Poiché trovare un senso comune sarà sempre più importante, alcune aziende iniziano a introdurre la figura del Chief Purpose Officer. Anche i benefit e la formazione sono essenziali per trattenere i talenti.Un recente studio Iwg rivela che per il 70% degli impiegati del Regno Unito il pacchetto dei benefit offerti dall’azienda per la quale si lavora riveste un ruolo di crescente importanza. Ugualmente un sondaggio che ha coinvolto mille responsabili HR negli Stati Uniti sottolinea come l’88% ritenga che il turnover possa essere ridotto con benefit più appetibili. La formazione e il ‘re-skilling’ rappresentano un incentivo ugualmente importante per rimanere in un’azienda. Molte persone iniziano ad avere più di un lavoro. Sono sempre di più i lavoratori che contano su più flussi di entrate, spesso derivanti da occupazioni diverse. Allo stesso modo molte grandi aziende stanno iniziando a pensare a ‘lavori a progetto’ anziché basati sul ruolo, con una forza lavoro che comprende dipendenti full time e supporto da parte di lavoratori free lance.

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