Settimana corta: in Italia si inizia a parlarne sul serio. Nel Regno Unito è un successo

Lavorare meno ore, o meno giorni, a parità di stipendio e di produttività: è il cuore della settimana corta che negli ultimi anni è stata sperimentata da aziende di tutto il mondo. E di cui ora si inizia parlare seriamente in Italia, dopo che per anni è stato un tema per esperti e convegni. È di queste ore la presa di posizione di Roberto Benaglia, segretario del sindacato dei metalmeccanici Fim Cisl, che chiede al governo di aprire un confronto tra le parti sociali sul tema.

«È tempo di regolare il lavoro, soprattutto nel settore manifatturiero, in modo più sostenibile, libero e produttivo – ha detto Benaglia –. È possibile ripensare gli orari aziendali e ridurli non contro la competitività aziendale ma ricercando nuovi equilibri e migliori risultati».

Il caso Regno Unito: 32 ore possono bastare

Nel Regno Unito 61 aziende con 2900 dipendenti complessivi hanno sperimentato la settimana corta, chiudendo del tutto il venerdì, nell’ambito di un test promosso dal movimento 4 Day Week Campaign. Sei mesi di prova che, per il 92% delle aziende coinvolte, sono stati positivi: 56 imprese hanno deciso infatti di proseguire la sperimentazione, e di queste 18 hanno adottato in via permanente la settimana lavorativa di quattro giorni.

Più benessere e meno big quit

Secondo i sondaggi effettuati prima e dopo il test nelle aziende coinvolte in UK, il 39% dei dipendenti sostiene di essere meno stressato, il 40% dorme meglio, il 54% dice che durante la sperimentazione era più facile bilanciare lavoro e responsabilità domestiche. Drastico il calo dei giorni di malattia durante il test: due terzi in meno.

Positivo anche l’effetto sul turnover aziendale, in controtendenza con il fenomeno del big quit, le “grandi dimissioni” esplose con la pandemia: il numero di dipendenti che hanno lasciato le aziende è calato del 57%.

I benefici per le aziende e l’ambiente

Sul fronte dei risultati aziendali non sembrano esserci state ripercussioni negative durante la sperimentazione delle 32 ore settimanali di lavoro. La grande maggioranza delle aziende si dice soddisfatta per quanto riguarda la produttività dei dipendenti, e i ricavi sono cresciuti dell’1,4%.

A risaltare, in tempi di cambiamento climatico, sono poi i benefici che arriverebbero all’ambiente. Secondo Juliet Schor, economista e sociologa del Boston College e ricercatrice capo di 4 Day Week Global, «sebbene i benefici climatici siano la cosa più difficile da misurare, abbiamo molte ricerche che dimostrano che nel tempo, man mano che i paesi riducono l’orario di lavoro, le loro emissioni di carbonio diminuiscono». Secondo uno studio di cui Schor è coautrice, una riduzione del 10% delle ore lavorative sarebbe associata a un calo dell’8,6% dell’impronta di carbonio.

Le 35 ore in Francia

Restando in Europa, la Francia su questo tema è stata un’apripista. La riforma che ha introdotto la riduzione della settimana lavorativa da 39 a 35 ore è entrata in vigore nel 2000, fortemente voluta dall’allora primo ministro socialista Lionel Jospin. Inizialmente rivolta solo alle imprese con più di 20 dipendenti, la norma dal 2002 è stata allargata alla pubblica amministrazione e alle aziende con meno di dipendenti.

Negli anni questa legge è stata più volte riformata, di fatto rendendo possibile per le aziende applicare contratti che prevedono ore di lavoro aggiuntive e incentivando il ricorso agli straordinari. Tuttavia, per quanto controverso e discusso, l’impianto di fondo delle 35 ore volute da Jospin è rimasto valido.

Venerdì libero in Italia

Le sperimentazioni nel nostro paese in realtà non mancano. E riguardano per lo più non un taglio dell’orario, ma una sua diversa distribuzione tra le giornate, in modo da lasciare il venerdì pomeriggio libero e allungare così il fine settimana. È il caso per esempio di Intesa Sanpaolo che dall’inizio del 2023 ha concesso ai dipendenti di applicare su base volontaria la settimana lavorativa di 4 giorni, alzando da 8 a 9 il numero di ore lavorative quotidiane dal lunedì al giovedì, in modo da abbassare a 4 le ore del venerdì.

L’esempio Realcable

Lo scoglio più difficile sembra quello della manifattura. Se la flessibilità oraria per i lavori di ufficio appare più semplice da applicare, in fabbrica si tratta di organizzare diversamente le linee di produzione. Ma c’è chi ci ha provato. Per esempio la Realcable di Pordenone, che realizza cablaggi elettrici e quadri elettrici, ha stabilito che dopo le 11 del venerdì mattina non si lavori più. In parallelo, è stato anticipato l’orario di ingresso alle 7 tutti i giorni, recuperando così le ore “tagliate” il venerdì.

L’amministratrice unica di Realcable, Barbara Sgambaro, afferma di essersi ispirata all’esempio della Germania. Ha proposto la soluzione ai dipendenti, circa 80, tramite un referendum che si è risolto in un plebiscito per il Sì. Tra gli obiettivi, dare più tempo libero ai dipendenti nel fine settimana ma anche ottenere un risparmio energetico per l’azienda.

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