'She leads'. La parità di genere nel futuro del lavoro

Meno di 1 donna su 2 è occupata, tra i manager le donne sono appena il 28% e la maternità è tutt’ora un ostacolo alle carriere, tanto che l’occupazione passa dal 71% per le donne senza figli al 54% per le donne che hanno un figlio sotto i 6 anni. Eppure, la diversity fa bene ed è possibile: la spinta che arriva dalle nuove generazioni, unita a strumenti innovativi come la Certificazione per la parità di genere, creano le condizioni per rendere il mercato del lavoro inclusivo e paritario.

Quello di genere è uno dei tre gap che l’Italia deve recuperare se vuole crescere, insieme a quello territoriale e generazionale. Il nostro Paese è fermo al 63° posto su 146 Stati, in termini di disparità di genere per partecipazione economica, livello di istruzione, salute ed empowerment politico secondo il Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum. Eppure, se più donne fossero attive nel mondo del lavoro, il Pil italiano potrebbe salire anche del 12% entro il 2050.

«Promuovere l’occupazione femminile, incentivando la creazione di rapporti di lavoro equilibrati e stabili, rappresenta un’urgenza per il nostro paese e il punto di partenza per un futuro più sostenibile e inclusivo», commenta Stefano Cuzzilla, Presidente 4.Manager e Federmanager. «L’uguaglianza tra uomo e donna è possibile ed è una delle sfide poste dal Pnrr, che per interventi mirati alla rottura del famigerato ‘soffitto di cristallo’ ha destinato oltre 3 miliardi di euro. Un cambiamento di direzione obbligatorio, sostenuto anche da un’altra importante misura: la Certificazione per la parità di genere, attraverso cui nel concreto le imprese si impegnano a eliminare le disparità di genere nel mondo del lavoro e nella vita sociale, guadagnando in termini di crescita, inclusione e innovazione. Oggi, mondo delle imprese e manager sono pronti e maturi per un cambiamento».

È proprio in questo 2023, l’anno di una rivoluzione possibile, che prende forma il libro ‘She Leads’: la parità di genere nel futuro del lavoro, il libro di Stefano Cuzzilla, presidente Federmanager e 4.Manager, e Andrea Catizone, avvocata sui diritti della persona e delle discriminazioni, edito dal Sole 24 Ore e curato dalla giornalista Silvia Pagliuca, presenta le vie alternative al gender gap.Il volume, promosso da 4.Manager, Associazione bilaterale Confindustria-Federmanager, indaga le ragioni del gender gap denunciando le fragilità attuali ed evidenziando le possibili vie di miglioramento, per diffondere una cultura aziendale più equa e inclusiva. Il libro sarà presentato domani, martedì 7 marzo, a palazzo Ferrajoli a Roma.

Il Paese che (non) c’è

Era il 1999 quando l’analista della Goldman Sachs, Kathy Matsui, parlava per la prima volta di Womenomics, ovvero, l’esigenza di superare il divario occupazionale tra uomini e donne nell’economia nipponica. Oggi, quasi 25 anni più tardi, la Womenomics non si è realizzata né in Giappone né nel resto del mondo. Le donne, attualmente, restano strette tra un mercato del lavoro poco accessibile e un welfare farraginoso che le vede ancora le principali depositarie dei doveri di cura.

«Gender gap significa vivere in un Paese in cui il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi in Europa, pari a circa il 49% (dato 2022), in cui a 5 anni dalla laurea le donne guadagnano il 20% in meno rispetto ai colleghi uomini di pari livello, in cui essere madri è un ostacolo alla realizzazione della carriera. La percentuale di occupazione passa, infatti, dal 71% per le donne senza figli al 54% per le donne che hanno un figlio under 6. E ovviamente c’è un impatto anche in termini di reddito: i salari lordi annuali delle mamme lavoratrici sono inferiori di 5.700 euro rispetto alle lavoratrici che non sono mamme. Questa è la child penalty, i cui effetti impattano esclusivamente sulle donne. Per questo, se vogliamo davvero che le donne possano sfondare il soffitto di cristallo, è urgente lavorare fin dal primo gradino di sviluppo professionale. Quando parliamo di futuro del lavoro, infatti, la parità di genere non è più un’opzione», rileva Silvia Pagliuca, giornalista curatrice di She Leads.

Il divario aumenta nei settori più tecnici

Guardando ai nuovi lavori, infatti, il gender gap è ancora più evidente. Si pensi alle STEM: in Europa, la percentuale degli uomini che lavorano nel settore digitale è 3,1 volte superiore a quella delle donne e solo il 22% di chi si occupa di Intelligenza Artificiale è donna. Stessa situazione in Italia.

E il divario si allarga se si sale negli organigrammi di tutti i comparti: in media, solo il 35% dei manager in Europa è donna. In Italia la percentuale è ancora più bassa: l’analisi dell’Osservatorio 4.Manager rivela che le posizioni manageriali femminili sono ferme al 28% del totale e la quota si riduce al 19% se consideriamo le posizioni regolate da un contratto da dirigente. L’indagine condotta su un campione di oltre 17.000 imprese indica che solo il 16,5% sono a conduzione femminile e operano prevalentemente nei settori manifatturiero, sanità e assistenza sociale. Il ruolo di presidente del Consiglio di amministrazione è rivestito solo per il 12,2% da donne, percentuale che si abbassa all’11,9% tra gli amministratori delegati.

Eppure la diversity fa bene, in termini di produttività, innovazione e benessere della forza lavoro. Ad esempio le imprese a conduzione femminile esclusiva/forte (89,4%) e quelle a conduzione paritaria (92,6%) presentano un punteggio più alto sul grado di digitalizzazione rispetto alle imprese a conduzione prioritaria e/o esclusiva maschile (87,8%). Le imprese che hanno sottoscritto la Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro sono state al centro di un’indagine portata avanti da 4.Manager nel 2020 e nel 2021 e rivela che in materia di parità di genere il tema più caldo affrontato dalle imprese è la genitorialità seguito dalla formazione continua, dalla parità nei ruoli apicali e dalla parità salariale. Emerge che le imprese oggi sono più propense a comunicare le azioni intraprese sulla parità di genere, ma questo avanzare della comunicazione, non è sempre sostenuto dallo sviluppo di progetti reali (gender washing). Il 27,3% delle imprese oggetto d’analisi, infatti, comunica un’attenzione di facciata.

Come sfondare il soffitto di cristallo

Il Parlamento europeo ha dato il suo consenso alla direttiva sulle donne nei Consigli di amministrazione: entro la fine di giugno 2026, tutte le grandi società quotate nell’Unione europea dovranno riservare al genere femminile almeno il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi e il 33% del totale dei posti di amministratore.

Gioca un ruolo cruciale il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La parità di genere rappresenta una delle priorità strategiche e trasversali del PNRR. Gli interventi mirati alle donne sono l’1,6% del totale (3,1 miliardi di euro circa) e si concentrano nelle missioni Istruzione e ricerca e Inclusione e coesione. Inoltre le misure prevedono anche la creazione di nuovi asili nido e scuole dell’infanzia, la promozione delle competenze STEM e il potenziamento di politiche attive per ridurre il numero di chi non studia e non lavora (nel 2019, il 33% dei NEET erano donne). Così facendo, il PNRR promette di generare un aumento dell’occupazione femminile del 4% entro il 2026.

Un cambiamento che sarà sostenuto anche da un’altra, storica, misura: la Certificazione per la parità di genere, con cui le imprese potranno misurare il proprio impegno in termini di capitale umano ottenendo importanti benefici. Le imprese potranno godere di un esonero dal versamento dei contributi previdenziali che sarà determinato in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna impresa. Entro giugno 2026, si stima che almeno 800 Pmi potranno essere certificate e circa 1000 aziende riceveranno le agevolazioni fiscali.

«Con la certificazione sulla parità di genere si è voluto, per la prima volta, costruire un insieme di azioni che, pensate per le imprese e le realtà produttive di beni e servizi, costruiscano in modo graduale una cultura inclusiva in grado di riconoscere le diversità e valorizzarle» sottolinea l’avvocata Andrea Catizone. «Si tratta di una vera rivoluzione culturale sulla sostenibilità sociale, la S delle ESG, che si traduce in vantaggi misurabili senza che siano un costo, ma un investimento per ogni soggetto coinvolto».

«È una grande opportunità per le imprese e non solo in termini economici, ma anche a livello etico e reputazionale», conclude commenta Stefano Cuzzilla . «Temi a cui, qualsiasi impresa voglia guardare al futuro, deve prestare attenzione. Siamo nell’epoca delle grandi dimissioni e tante donne si stanno dimettendo anche ad alti livelli. Siamo nell’epoca del talent shortage, mai come oggi le aziende fanno difficoltà a trovare talenti, ma le nuove generazioni sanno benissimo per quale tipo di realtà vogliono lavorare e avere una leadership integrata, che investa davvero nella D&I. Al tempo stesso, nuove donne conquistano palcoscenici importanti.  L’Italia ha la sua prima presidente del Consiglio donna, Giorgia Meloni e la prima presidente donna alla Corte di cassazione, Margherita Cassano. Il fatto che alcune delle cariche più importanti del nostro Paese siano ora occupate da donne, è espressione di tutto ciò che dovremmo intendere per ’empowerment’, ovvero potenziamento dei talenti e delle opportunità».

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