Alberto Zanatta: «Rafforziamo gli ITS per colmare il gap di competenze digitali»

Il contesto/pretesto da cui nasce questa intervista ad Alberto Zanatta, presidente del gruppo Tecnica, leader mondiale nello sportsystem, vice presidente di Confindustria Veneto Est, che ha recentemente assunto la presidenza della Fondazione Digital Academy “Mario Volpato”, è una ricerca che ho condotto per il portale Good Job (si può scaricare qui, ndr): l’esodo di profili di informatica e tecnologie ICT vicino quasi al 15% a un anno dalla laurea avviene paradossalmente quando c’è una fortissima richiesta dell’economia del Nordest. In questa intervista analizziamo con lui quali risposte può dare il sistema degli Istituti Tecnologici Superiori (ITS) a questa vera e propria carestia di questi profili.

«È così – esordisce Alberto Zanatta –. Ci sono moltissime aziende alla disperata ricerca di competenze digitali. Tutti stanno affrontando la transizione digitale in diversi ambiti, in questa fase le aree più interessate sono la cyber security, l’Intelligenza Artificiale, l’analisi dei Big Data. Non c’è azienda che non disponga di serie storiche e in tempo reale di dati che riguardano i consumatori, i mercati, i fornitori. Il problema è: come utilizzarle? Per farlo ci vogliono delle competenze la cui formazione specialistica, se vicina al mondo professionale e dell’impresa, è più pragmatica, interviene sui contesti specifici. Per questo l’ITS è una risposta vincente, unisce la formazione specialistica in modo interdipendente e pragmatico con i problemi dell’impresa».

Da un punto di vista teorico la scelta strategica verso l’istruzione tecnologica superiore è un dato acquisito. Ora abbiamo anche una legge, la 99 del 2021, che legittima in modo paritario questo come un pilastro dell’istruzione terziaria superiore. La domanda è allora: come mai di fronte a una domanda così imponente, certificata trimestralmente dai bollettini Excelsior di Anpal UnionCamere, l’offerta è ancora così ridotta, quasi irrisoria?

«Rispetto alla Germania siamo all’età della pietra. Dovremmo avere una potenza di fuoco almeno dieci volte superiore. Per riferirci alla Fondazione Volpato, che è molto giovane, nasce nel 2021, abbiamo cinque corsi avviati. Ciò significa che alla fine del secondo anno escono 125 ragazzi per tutto il Veneto. Sono pochissimi. Una goccia nel mare. Gli ITS sono pochissimo conosciuti e quando lo sono vengono vissuti in modo limitativo: sembrano un ripiego o la prosecuzione di un biennio dell’istituto tecnico. Dobbiamo far capire alle aziende, alle famiglie, ai media che l’ITS Academy non è un ripiego. È come una laurea di specializzazione professionale».

Le chiedo come la Fondazione pensa di agire rispetto a questi tre attori: le imprese, le famiglie, i media. Capita di frequente di sentire delle aziende che lamentano la carenza di profili digitali, ma che non sanno a chi rivolgersi, oltre al canonico bacino dei diplomati; per le famiglie scontiamo il ritardo ormai scandaloso del sistema dell’orientamento. Nei licei è raro che gli ITS vengano prospettati.

«È un problema che stiamo affrontando anche con l’assessore regionale del Veneto all’istruzione e alla formazione Elena Donazzan. Le famiglie, quando capiscono che l’impiego, terminato il biennio ITS, è buono, immediato, ben remunerato alzano le antenne. Per questo motivo la comunicazione deve arrivare a tutti, deve disporre di una notevole “potenza di fuoco”. Il messaggio più efficace che deve circolare, quello che mi sono dato come obiettivo, è l’occupabilità al 100%».

E le imprese?

«Anche loro hanno il loro pezzo di responsabilità. Siamo un po’ indietro con le aziende. Le associazioni categoria, non solo Confindustria, ma anche artigiani e commercianti, nel turismo e in agricoltura, devono sensibilizzare gli associati. Dovremmo arrivare a obbligare ogni azienda ad avere degli stagisti. Per esempio nel nostro stabilimento in Austria siamo obbligati ad ospitare stage, anche se poi non siamo vincolati all’assunzione. Gli stage vanno fatti bene. Bisogna istruire l’azienda stessa su come si fa efficacemente uno stage. Le aziende vanno responsabilizzate a questo livello. Il secondo obiettivo è di corrispondere a ciò che le aziende si aspettano: questo è possibile con un grande lavoro del Comitato Tecnico Scientifico (CTS)».

Come avete impostato la didattica? Ricordiamo che il biennio ITS è composto di 1.200 ore di aula e 800 in azienda, un sistema pienamente duale.

«L’impostazione va rivolta verso figure i cui percorsi formativi sono individuati dal Comitato Tecnico Scientifico. La programmazione dei corsi deve essere fatta con grande attenzione da parte del CTS. Non solo dal punto di vista del rigore scientifico, ma anche con una tipologia di corso “markettara”, diciamo così, per aumentare l’appeal presso il pubblico giovanile. Il veicolo dei social più diffusi è fondamentale. Come pure lo sono i ragazzi e le ragazze, che hanno già frequentato l’ITS e si sono brillantemente inseriti nel mondo del lavoro: sono i migliori testimonial. Ecco, per noi il CTS è l’equivalente che per una azienda l’ufficio sviluppo prodotto».

L’innovazione dell’offerta didattica è anche uno strumento per ampliare le basi delle adesioni.

«La grandezza degli ITS è che sono dinamici come contenuti di formazione, più dell’Università o della scuola superiore. La questione del reclutamento dei numeri minimi per comporre le classi manda i direttori in fibrillazione. È paradossale perché ci dovrebbe essere una lunghissima lista di attesa. E qui torniamo alla comunicazione. È essenziale far passare il messaggio dell’occupabilità e della remunerazione. Tutti gli ITS assieme dovrebbero aumentare la comunicazione e la sua efficacia, la sua capillarità. L’ITS è meglio di diversi corsi universitari per la professionalizzazione. L’altro tema è di recuperare i drop out universitari».

Quali altre strategie pensate di mettere in campo per allargare il numero di iscritti?

«Un altro incentivo di straordinario significato è fidelizzare i ragazzi con i contratti di apprendistato di terzo livello. Non dimentichiamo che la docenza è sia accademica che professionale. Teoricamente se uno ha fatto le superiori le basi d’aula ci sono. È importante che ci sia un po’ di metodo. Non penso solo al Volpato, ma anche agli altri. Per esempio come sportsystem stiamo mettendo mano alla didattica con l’Istituto Tecnico Einaudi di Montebelluna per aggiornarla senza perdere terreno con le aziende. L’obiettivo numero uno è allargare il bacino di iscritti».

Dal punto di vista dei corsi formativi qual è il tipo di relazione con le altre fondazioni, essendo il digitale molto trasversale sia alla meccatronica che all’edilizia, al turismo o al Made in Italy?

«Come fondazione non possiamo stare da soli. Siamo una piccola realtà, non abbiamo i mezzi per avere una potenza di fuoco, ma l’ITS Veneto, con le otto fondazioni, può molto di più. Non servono gelosie, bisogna sedersi a un tavolo e collaborare. Non vedo, per questo tipo di iniziative, concorrenza. Bisogna formare i ragazzi, punto. Il “Volpato” non ha l’esclusiva sul digitale, ma può trovare proficui momenti di collaborazione. Dobbiamo fare economie di scala e pianificare una presenza articolata sul territorio senza sovrapposizioni e squilibri. Vorrei sottolineare una cosa. È importante avere anche sedi belle, attrattive, dotate di strumenti, laboratori, tecnologie. A Treviso, per quello che conosco, è meglio fare una sede per tutti gli ITS. Con le risorse del PNRR è meglio fare sedi attrattive e molto dotate. A Padova vorremmo fare una sede unica tra Volpato con Cosmo e RED, per condividere servizi e fare economie. Non dimentichiamoci che siamo imprenditori. Evitiamo il superfluo».

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