Climate quitting, sarà la tendenza del 2023?

Arriva direttamente dalla Gran Bretagna la nuova tendenza che coinvolge il mondo del lavoro. Si chiama Climate quitting e consiste nel dimettersi o rifiutare un’assunzione se il datore di lavoro non è ritenuto sufficientemente impegnato a contrastare i cambiamenti climatici o in attività sostenibili.

Una ricerca condotta nel Regno Unito lo scorso anno dalla multinazionale della consulenza KPMG e pubblicata a fine gennaio ha registrato un certo clamore mediatico, specie tra le generazioni più attente alle tematiche ambientali e di sostenibilità. Anche in Italia si comincia a parlare dell’argomento, proprio sulla scorta della ricerca britannica, ma dati reali ancora nessuno ne ha raccolti, quindi risulta impossibile capire se il fenomeno esiste e in quali dimensioni si manifesta.

Tuttavia potrebbe diventare presto argomento di dibattito, come lo sono stati le grandi dimissioni che hanno visto centinaia di migliaia di persone lasciare volontariamente il posto di lavoro perché insoddisfatti dalle condizioni e dopo il quiet quitting, che enfatizza il rifiuto dei dipendenti a svolgere mansioni non previste dal contratto o a lavorare oltre l’orario stabilito.

Tornando all’indagine, KPMG ha intervistato circa 6.000 impiegati adulti, studenti, apprendisti e coloro che hanno lasciato l’istruzione superiore nel Regno Unito negli ultimi sei mesi sul loro atteggiamento nei confronti del lavoro. I risultati evidenziano che quasi uno su due (46%) desidera che l’azienda per cui lavora dimostri un impegno nei confronti dei fattori ESG, mentre uno su cinque (20%) ha rifiutato un’offerta di lavoro quando gli impegni ESG dell’azienda non erano in linea con i loro valori.

Uno su cinque dice di no

Le persone di età compresa tra 25 e 34 anni sono le più propense (55%) a valutare gli impegni ESG del proprio datore di lavoro, ma le persone di età compresa tra 18 e 24 anni (51%) e tra 35 e 44 anni (48%) non sono molto indietro. E quando si tratta di cercare un nuovo ruolo, un intervistato su cinque (20%) ha affermato di aver rifiutato un lavoro perché gli impegni ESG dell’azienda non erano in linea con i suoi valori, salendo a uno su tre nella fascia 18-24 anni.

Anche i valori condivisi sono una considerazione chiave con l’82% che attribuisce una certa importanza alla capacità di collegare valori e scopi con l’organizzazione con cui lavora. Ancora una volta, sono le fasce di età tra i 18 e i 44 anni che sono più propense ad essere d’accordo: 18-24 sono più probabili con il 92%, 25-34 anni seguono l’86% e 35-44 con l’84%.

Ambiente e paga dignitosa orientano le scelte

Uno su tre (30%) ha ricercato le credenziali ESG di un’azienda durante la ricerca di un lavoro, percentuale che sale a quasi la metà (45%) per coloro che iniziano la carriera (18-24 anni). L’impatto ambientale (46%) e le politiche salariali dignitose (45%) sono state le aree chiave ricercate nell’ambito del processo di assunzione. I lavoratori più giovani sono più interessati a impegni retributivi equi (18-34 anni al 45%) mentre quelli di età compresa tra 35-44 anni hanno maggiori probabilità (45%) di essere interessati all’impatto ambientale del lavoro svolto dall’azienda.

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